Dietro la cortina di ferro ogni cosa è un enigma avvolto in un mistero nascosto nella nebbia e oscurato da una spessa caligine di foschi dubbi. A maggior ragione il cuore umano che, come diceva Gabriel Garcia Marquez, ha più stanze di un casino. Il cuore in trasferta di Don Héctor, invece, sembra un monolocale sicuro di sé. Ha ritrovato Eubeba a Sofia, in Bulgaria, ed è questo ciò che importa, non le strade ostili, la lingua di ghisa, le lampadine esplosive, i ventun gradi sotto zero. L’abbraccio che ieri sera ha miracolosamente sigillato i due amanti ha redento in un colpo solo il mondo oltre cortina e i di lui satelliti. Il difficile però viene adesso: come può il nostro Romeo strappare Giulietta dalle mani ungulate dello Stato e riportarla in quelle grandi come giardini di Anibal Troilo, a Buenos Aires? E’ quel che stiamo per vedere nel novellone balcanico di Alejandro Agresti giunto ormai all’epilogo. Per adesso il muscolo cardiaco di Don Héctor tintinna ancora come mille bambini la mattina di Natale...
Eubeba gli dice che durante i mesi in cui non si sono visti molte cose sono
cambiate. Ha conosciuto un ricco signore inglese che si è offerto di sposarla e di
portarla via di lì. Lei non poteva prevedere il ritorno di Héctor. Prima di tutto, lei
voleva andarsene dal suo paese. Per questo doveva sposarsi con qualcuno in
grado di rimborsare allo Stato i soldi investiti nella sua educazione. Era tardi, le
nozze erano state fissate di lì a due settimane. Quando omone brissolato
chiamare, c’era l’altro con lei. Per questo aveva appeso.
Eubeba si congeda intristita lasciandolo solo e con una lampadina in meno. Don
Héctor piange e pensa al suicidio. Non sopporta di tornare in Argentina senza
fidanzata. Il tempo gli si ferma intorno. Prende la foto dal comodino. Concentra lo
sguardo sull’innocente sorriso che non aveva baciato quando era il momento. Poi
la strappa in mille pezzi. Squilla il telefono.
- Il signor Héctor?
- Chi parla?
- Sono un’amica di Eubeba. Non sono abituata a fare queste cose, però non
riesco a vederla così a terra e devo intervenire.
- Finalmente qualcuno che parla spagnolo!
- Sì, per questo Eubeba mi ha chiamato. Mio padre è un diplomatico. Siamo
cileni.
- Guardi signorina, per me la situazione è altrettanto brutta come per lei. Mi scusi
se mi si spezza la voce, però le confesso che sono disperato. Io le voglio molto
bene...
- Me l’immagino, si calmi, diamoci del tu.
- Grazie, cazzo, avevo bisogno di parlare con qualcuno.
- Chiamo proprio per questo, perché dobbiamo trovarci. Eubeba mi ha chiesto di
andare a cena tutti e tre insieme, così posso fare da interprete. La sua
padronanza del rumeno sembra piuttosto precaria.
- Non so, al corso mi avevano detto che ero un fenomeno.
- Ti dicono sempre così, ma sono lingue difficili da dominare.
- Quando è l’appuntamento?
- Stasera. La questione è delicata. Non abbiamo tempo da perdere.
- Sì, sì, dove, dove ci vediamo?
- Lei conosce la prospettiva Swrchytznsvibtresky?
- La prospettiva...?
Una piccola brasserie con le pareti di legno. Dentro fa molto caldo. Don Héctor si
toglie il cappotto, la sciarpa, il maglione e, in bagno, anche la canottiera.
E’ arrivato in anticipo. Non sopportava di aspettare. Beve qualcosa seduto al
tavolo che ha scelto, che è rotondo e ha una tovaglia a quadretti bianchi e rossi.
Deve essere un posto dove viene a mangiare la piccola borghesia bulgara, i
gerarchi del partito, le famiglie dei diplomatici come quella della traduttrice. Il
ristorante bollente gli torna a far circolare il sangue nel corpo. I tavoli sono divisi tra
loro, tipo cabina riservata.
La musica non salta ed è a un volume perfetto. La si sente solo nei momenti in cui
uno smette di pensare.
Da uno specchio tra le colonne, un riflesso l’avverte che le ragazze sono arrivate e
si stanno togliendo il cappotto. L’amica traduttrice è un po’ più alta di Eubeba, ha i
capelli scuri, movenze leggermente affettate e un mucchio di collane che
luccicano. Una cameriera le accompagna. Presentazioni. La traduttrice si chiama
Silvia. La montatura dei suoi occhiali deve costare una barca di soldi. Si direbbe
timida, ma sta solo mantenendo le distanze. Dopo due o tre minuti di baci,
formalità, spiegazioni del menù, sorrisini e colpetti di tosse, vanno al punto.
Eubeba parla piano, all’orecchio della sua amica. Continua a torcere il tovagliolo e
a mordersi il labbro inferiore. La sua respirazione è irregolare. Le pause nel suo
discorso sono del tutto fuori posto. Le usa esclusivamente per frenare il pianto.
Silvia assume un tono quasi radiofonico e trascrive scientificamente quanto la sua
rappresentata viene dicendo.
- Dice che questo signore l’ha conosciuto quando è arrivata a Sofia. Che le
sembra un uomo simpatico anche se la sua età è un po’ avanzata.
- Quanti anni ha?
Eubeba si avvicina ancor di più all’orecchio di Silvia.
- Dice che compie settantuno anni il giorno dell’indipendenza del Congo, ossia tra
due settimane scarse.
- Così tanti?
- Dice che assomiglia a suo padre. Che qua i bulgari maltrattano le donne come o
di più dei rumeni. Invece, quando ha conosciuto Pierson ha scoperto nei suoi
occhi una dolcezza sconosciuta.
- Pierson è il mecco?
- No, fa l’avvocato penalista.
- In pensione?
Eubeba fa segno di no con la testa. Silvia dice di no e guarda allarmata la sua
amica che si è messa a frugare nella borsetta. Si mettono a discutere in bulgaro,
tagliando fuori Héctor.
- Guardi, metto subito in chiaro che io ripeto solamente quello che mi dice Eubeba.
Adesso vuole farle vedere la foto del suo promesso sposo...
Se la passano tra loro e poi la danno a omone brissolato. La foto è appena più
grande di un formato tessera. Il tipo è un pelatino con barbetta da Satanasso,
faccia rotonda e occhi da non sono stato io.
- Perché me la fate vedere? Perché me la fai vedere Eubeba?
Eubeba risponde in bulgaro e adesso sì che il disgraziato non capisce più niente.
- Gliela fa vedere perché in Romania esiste un’abitudine ancestrale, originaria dei
Carpazi, che dice su per giù, vediamo come posso dire... “Cornuto cosciente,
cornuto l’altro.” Non è proprio così, ma è molto difficile trovare un modo di dire
equivalente. Il fatto è che, non so se lo sa, ma questa cultura è alquanto
strana...
- Beh, ho sentito parlare del conte Dracula, quella faccenda di succhiarti il
sangue...
- Giusto, ci ha preso, anche se nella parte orientale, quella da dove viene lei, i
rituali sono abbastanza diversi.
- E loro che cosa ti succhiano? Voglio dire, quali sono le differenze nel folklore?
Don Héctor sta ingerendo per il nervosismo un’anomala quantità di vodka Bizon
da sessantun gradi. Gli cominciano a uscire le impertinenze. La situazione è
ridicola e lui vuole nascondere la sua intima disperazione a questa nuova
signorina. Si lancia in esclamazioni frivole o ciniche, da uomo di mondo.
- Sono più religiosi di noi. Detto fra di noi, sono dei ritardati.
- Ritardato mi sento io, in questa situazione. Riprenditi la foto, che non ti si
spiegazzi.
Eubeba incomincia a dettare all’amica una lunga frase. A metà strada, il pianto la
interrompe. Silvia dice di no con la testa, si rifiuta decisamente di tradurre il nuovo
speech. Eubeba però insiste, prende le braccia dell’amica, le scuote, la bacia,
unisce le mani come per pregare. Alla fine Silvia manda giù un mezzo bicchiere in
un sorso, si mette una mano sulla gola, respira a fondo e, senza guardare in faccia
don Héctor, si mette lei a giocare con il tovagliolo.
- Guardi, Héctor, non so se devo tradurle quel che ho appena sentito. Mi costa.
Non sono abituata a questo genere di cose.
- Lo so. Sputa il rospo.
- La signorina qui dice che se lei si offre di sposarla, è disposta a sospendere le
nozze con Pierson.
- Va bene...
- Non è finita qui. Vuole anche che le prometta di portarla in Argentina.
- ... bene...
- Sì, però dovrebbe anche pagare allo Stato Rumeno l’equivalente di un
quindicimila dollari a titolo di rimborso per l’educazione e i servizi sociali che il
governo comunista le ha erogato da quando è nata.
- Cheeeee?
- Beh, questo è quello che mi ha detto lei. Non mi guardi così, io cosa c’entro...
Don Héctor ora vede la sua protetta con altri occhi. Lei, avvertendo l’ostilità,
scoppia a piangere e scappa in bagno a gambe levate.
- Poverina, è difficile per lei.
- Ma, dico io, non ci sarà un altro modo per sistemare la faccenda?
Silvia sorride, come se di fronte avesse un bamboccio.
- Amico mio, doveva informarsi prima.
- Però lei, scusi... Suo padre non è l’ambasciatore del Cile?
- Sì, e allora? Non c’entra niente.
- In Argentina con quindicimila dollari uno si compre due case.
- Qui otto, in Cile sei.
- Ah, si vede che avete già fatto i calcoli...
- Beh, sì. Ma da quanto tempo vi conoscete, voi due?
- Da abbastanza. Lei non ti ha raccontato?
- No, non c’è stato il tempo. Mi ha chiamato oggi pomeriggio. All’ambasciata le
vogliamo bene da quando è svenuta.
- Svenuta?
- Veniva tutti i giorni a chiedere asilo politico. Una mattina gli ha preso quello.
- Quello cosa?
- Beh, il suo problemino, l’epilessia.
- Stavo pensando a un’altra cosa.
Don Héctor cerca di dissimulare il terrore di essere morso proprio lì nelle parti
basse. Un riflesso condizionato gli fa chiudere le gambe. Se le copre con il
tovagliolo.
- Ma che vita, questa ragazza...
- Sì, proprio. Lei sa tutto di Eubeba?
- Vuol dire della madre?
- No, sì, no... Che cosa?
- Aveva le sue buone ragioni per ammazzarla, non trova?
- Na... Na... Naturalmente.
- Prostituirla a undici anni...!
- Po... Pros... Pos...
- Le ha rovinato la vita. Lei l’ha conosciuta in Romania, giusto?
- Sì, nel ristorante.
- Siete stati in un ristorante?
- No, nel ristorante dove lei lavorava, no?
- Lei non lavorava in un ristorante, ma aspetti... Ah sì, mi scusi, lei intendeva dire il
carcere.
- Che caca, che cacarcere...?
- Il carcere modello di Zurpete. Non lo sapeva?
- No, il posto si chiamava Carisma, avevano dei vestiti strani...
- Sì, delle uniformi... terribile... L’hanno salvata dall’eroina, ma i loro metodi sono
schifosi.
- A noi ci aveva accompagnato il postino.
- Che postino?
- Uno con la divisa azzurra, un berretto con una striscia dorata e la falce e
martello.
- Ah, adesso ho capito. In lunfardo, guardiano si dice postino. Meglio che vada in
bagno a vedere che non le sia venuto un altro attacco. E’ via da parecchio.
Silvia si alza portando con sé il cucchiaio da zuppa, per tenerle giù la lingua di
Eubeba nel caso cerchi di mordersela.
Don Héctor si guarda attorno afferra la bottiglia di vodka e la beve direttamente dal
collo. Fa per andarsene, ma il ritorno delle ragazze lo sorprende a mezz’aria. Lui
completa il gesto di alzarsi con fare cavalleresco. Sistema le sedie a tutt’e due e
torna a sedersi scuotendo la testa e sorridendo come quei cagnolini che si
mettono sul lunotto posteriore delle auto.
- Eubeba nel bagno mi ha detto che comprende quanto possa essere difficile per
lei questa situazione.
- No, per niente. Morire è peggio.
Eubeba sorride. Don Héctor cerca di vedere il lato positivo della questione.
Perlomeno così non ci sarà nessuna suocera. Arriva il cibo e la conversazione si
trasforma in gastronomica.
- Qui si mangia meglio che là, no Héctor?
- Là dove, in Argentina?
- No, voglio dire nel ristorante di Zurpete, quello che la parrocchia aveva avviato
per raccogliere i fondi del metadone.
Don Héctor guarda il soffitto in cerca di aiuto, o per mandar giù qualcosa che gli è
andato di traverso nel gargarozzo.
- Eubeba le chiede se sa cucinare.
- No.
- Va bene lo stesso, a Buenos Aires c’è un ristorante ogni cento metri. A lei piace
molto andare fuori a mangiare, le piace molto la carne. Non è vero Eubeba?
Silvia tira su la bistecca con la forchetta e la mostra all’amica. Eubeba dice “Da”
con la bocca piena.
Pensandoci bene, considerate le circostanze, la traduttrice è abbastanza forte. Il
nobile cuore di Héctor sente nostalgia per la maniera d’essere latinoamericana.
Silvia si rilassa e sorride.
- Quando Eubeba mi ha raccontato del vostro idillio, mi ha preso come
dell’invidia. Lei è un uomo molto romantico, vero?
- Sì, ma la vita è dura.
Eubeba, al sentire questa parola, interviene facendo la smorfiosa.
- Duran Duran, omone brissolato...
- Come si vede che le vuole bene, no? Non le stacca mai gli occhi di dosso. E
perché non vi stabilite a vivere qua?
- Qua? E che corno faccio io qua?
- Beh, con i quindicimila dollari risparmiati, vi date alla bella vita. Potete metter su
un ristorante
- O un carcere...
- Scusi, non ho sentito.
- Ho detto che qui scarseggiano i ristoranti.
- Questo è il migliore. Il più romantico. Ma mi dica, ha sempre portato i baffi lei...?
Foto di Josef Koudelka