Prendo sempre decisioni per i miei figli, anche se non riescono a capire perché lo faccia, sono convinto che è per il loro bene e che un giorno capiranno. Così come è stato per me.
Adesso che la corrente della vita ha modellato la barca della mia esistenza, sbattendomi fra gli scogli, capisco ... come capisco certe frasi, certe decisioni di mio padre.
Ho tanti ricordi della sua presenza in casa, ma alcune delle cose che faceva e diceva sono state importanti per me, tanto da forgiare i miei comportamenti nella vita.
Una volta mi raccontò che nelle ferrovie , dove lavorava, lo avevano spostato momentaneamente come magazziniere in un deposito.
Controllava tutti i materiali che entravano e uscivano. Nessuno lo conosceva, era nuovo lì.
La corruzione e le ruberie erano normali in quel posto. I camionisti si portavano via un sacco di ricambi per treni in ottone e chi avrebbe dovuto controllare chiudeva gli occhi e non prendeva nota di niente.
Mio padre iniziò a registrare tutto e non faceva più uscire materiali rubati. Subì minacce ed ebbe non pochi problemi per questo modo di essere.
Era un uomo lavoratore, credeva nel socialismo di sinistra e viveva una vita coerente con i suoi principi.
Questo suo vissuto m’insegnò che l'onestà non è un vanto da sbandierare. Così come l'odio e la rabbia avvelenano l'anima di chi li prova, l'onestà purifica il vivere di chi la esercita quotidianamente,
e uno attraversa l’esistenza profumando di pulito, come se avesse al posto dei polmoni e delle viscere dei mazzi di fiori freschi, e gli occhi guardano avanti, dritto, segnando senza tentennare la strada.
Lo ricordo mentre usciva di corsa da casa con qualche attrezzo in mano. "Papà, dove vai?” “Mi ha chiamato Don Jose, ha un tubo rotto nel muro”.
Questo mi ha insegnato che se un amico ha bisogno di te, devi correre. Come diceva Miguel Zotto: "In Argentina abbiamo la cultura dell’amicizia".
Grazie alla tecnologia dei telefoni, mi sento quotidianamente con i miei amici d'infanzia, ci prendiamo in giro per le nostre squadre di calcio o ricordiamo qualche aneddoto di quando eravamo bambini,
come se non fossero passati più di cinque minuti. Come se non me ne fossi mai andato dal mio quartiere e loro non fossero mai usciti dalla mia vita.
Da ragazzo mi ero costruito una consolle con due giradischi professionali, e un amplificatore potente e due casse enormi. Ascoltavo il rock sinfonico degli anni 80’, i muri della stanza tremavano.
Quando uscivo vedevo mio padre con un disco di vinile di Pugliese in mano che mi diceva: "Hai finito? Posso ascoltarmi un po’ di tango?
Io, che non concepivo la profonda lagna di questa musica da vecchi tristi, gli chiedevo: "Ma non ti piace il rock?".
Lui mi rispondeva: "Non è che non mi piace, è che non lo capisco".
Oggi che sono profondamente immerso, assorbito, dalla magia del tango, penso a quello che quella sua frase mi ha permesso di capire.
Quanta ragione aveva il mio papà. Lui era nato in un conventillo, tra le braccia del suo babbo italiano cullato tra canzonette e arie d'opera.
Tra immigrati di tutte le nazioni, un’Argentina in fermento che parlava mille dialetti e profumava di pietanze da tutto il mondo.
Poi, da ragazzo, conobbe mia madre e insieme andavano a ballare il tango con le orchestre dal vivo di Pugliese o Di Sarli. Così era la sua Argentina, lui era fatto di tango.
L'imperialismo dell’aquila del nord, non solo si servì dell'economia per dominare il mondo, ma utilizzò la penetrazione culturale come arma di dominazione di massa per completare l'opera.
Non ho niente contro il rock, che ancora oggi mi piace tanto, ma non posso non vedere come sia stato utilizzato per annientare le altre culture nel mondo.
La canzone popolare italiana dovrebbe derivare naturalmente dall'opera e dalla canzone napoletana, cosa c’entra un imbrillantinato con una chitarra acustica che salta come posseduto dall'isteria,
ripetendo ‘Oh Baby’ all'infinito, con l'arte e la cultura immensa di questo paese?
Così il tango in Argentina fu proibito, censurato, dilaniato; non era possibile lasciare in mano ad un popolo da sottomettere e sfruttare una cultura potente da impugnare come strumento d'identità nazionale, di ribellione, d'indipendenza.
Ecco perché papà diceva di non capirlo, non era la musica che parlava della sua storia, della sua Argentina, di italiani fieri e lavoratori.
Lo ricordo sempre, come nella milonga scritta da Jose Angel Trelles: "Es el amigo che necesito”,
bevendo mate, sotto l'albero di limoni che lui aveva piantato nel fondo di casa, tanti anni prima.
Buon ascolto! Victor.
Diritti d'autore: Victor Hugo Del Grande.
https://www.youtube.com/watch?v=BtpDpNhIUW
in foto: Zenone y Hugo, nonno e padre dell'autore Victor Hugo Del Grande