Inspiracion. 5 marzo 1943. Felix sorride compiaciuto mentre il suono dell’orchestra di Troilo esce accartocciato dal giradischi: credo che il collezionismo morboso di chi conserva come una reliquia i gracchianti 78 giri del tango, sia una commovente forma di cavalleria verso questa musica. Credo anche che se intendiamo l’ispirazione come quel particolare stato di grazia durante il quale sembra che l’anima sia nella condizione di svelare le sue forze erranti ed ombrose, muschiose, sensibili, remote, l’orchestra di Pichuco in questa sessione di incisione è particolarmente ispirata, facendo corrispondere il suo stato d’animo al titolo di Peregrino Paulos.
Il ventiduenne Astor Piazzolla aveva arrangiato questo tango per Troilo, sottoponendo il suo vulcanico desiderio di creazione innovativa al rigoroso giudizio dell’esigente direttore, censore e custode di uno stile sempre sottoposto all’incessante perfezionamento della sua esattezza.
Dopo le sue limature precise ed efficaci, che ripulivano quel lavoro piazzolliano delle parti turbative e vischiose, cancellando una scomoda introduzione per violoncello, alcune durezze armoniche e i passaggi ostili al compàs richiesto dai ballerini, il brano era pronto per essere presentato nel salone del Club Boca Junior, in occasione dei festeggiamenti per il carnevale.
Maestro di sensibilità, Troilo è stato un artista generoso che non ha sprecato nulla della sua inventiva, della sua solennità intimista, della sua fragranza timbrica, del suo serbatoio retorico, compiendo il miracolo di modellare il suo stile così emotivamente scoperto, sulla forma della sua umanità, con il coraggio di abbandonarsi senza riserve alla natura che da sempre vibrava in lui.
Destinato a spiegare attraverso la sua opera, il sentimento della sua città e dei suoi abitanti, ogni passaggio della sua musica, ogni frase, sono un evento di comunicazione, novità e coerenza che fa riverberare in sé il modello decareano, invisibile e mai citato, piuttosto interiorizzato come ricordo remoto. L’inclemenza del tempo non è riuscita a smontare la forza ed il pathos avvincente di uno stile, dove la vertigine della bellezza è illuminata con la luce pura sprigionata dagli arrangiamenti orchestrali. Se pensiamo al suo modo di concepire la musica, bisogna forse insistere sulla figura dell’Architetto, nella quale si incarna perfettamente quel tipo di felicità espressiva, tutta tesa all’unità di stile costituita dal fatale intreccio tra il più minuto particolare e il più maestoso insieme. Ma un altro elemento di singolarità fa sì che il cosiddetto “sabor troileano”, con la sua lingua vibrante e mutevole, esprima uno stile che al contrario di ogni stile, non diventa docile ostaggio di una sua rappresentazione immutabile, di un’epoca di cui esprime i colori destinati a sbiadire, ma è portatore della vocazione a non arrendersi alla caducità della sua armonia.
Il grafico del suo destino artistico si può sintetizzare in tre iperboli distinte che si sono susseguite.
Nella prima, appoggiati sull’insistenza di un ritmo rapido adeguato al passo di successo imposto dallo stile ritmico e orizzontale di D’Arienzo, gli arrangiamenti inseriscono alcune dissezioni brucianti che rivelano nodi plastici e fibre di un prezioso tessuto inedito, messo al servizio dei testi poetici con il risultato di far emergere il ruolo del cantor de orquesta, incarnato all’epoca da Francisco Fiorentino.
Nella seconda Troilo diventa partigiano della parola dei suoi poeti, affinchè in essa si rispecchi e si riconosca la sua musica, entrando con lei ed i suoi interpreti, in una risonanza empatica, radicale e costante. L’energia espressiva dell’orchestra si accentua, il magnetismo della sua pulsazione è rallentata e si spezza in combinazioni vibratili ed ondose, in invenzioni prismatiche che liberano la musica schiudendo una linfa sentimentale fluttuante. Gli arrangiamenti sono orientati verso una prospettiva di complessità che non può essere indagata solo attraverso la lente dell’analisi formale per scoprirne i segreti: una complessità che va interpretata sul piano genetico della poetica o meglio ancora dello Stimmung romantico secondo cui la musica deve preoccuparsi di elaborare l’atmosfera suggerita dal testo e in questo caso, dalle interpretazioni dei suoi mattatori, Edmundo Rivero e Roberto Goyeneche fra tutti.
Nella terza fase, lo stile dell’orchestra è ormai puro, senza echi di numi tutelari, avendo superato tutti i confini per annidarsi in un perimetro di specchi autoreferenti che superano la necessità di ospitare le immagini evocate dalla poesia: così il punto più alto dell’opera troileana coincide con lo svanire delle influenze più resistenti e con l’autosufficienza strumentale.
In tutto questo, e per tutte le tre fasi distinte, è sbalorditivo come l’originale linguaggio del Troilo strumentista, anche rispetto ai suoi modelli Chiriaco Ortiz e Pedro Laurenz, aderisca a quello dell’orchestra come un guanto di seta aderisce alla forma di una mano.
Il disco che continua a girare sul piatto è nel cuore della sua variacion fraseada, un distillato troileano di bellezza, nervi e cuore, versato in un fraseggio coltivato con inaudita poesia, sempre imprendibile nelle sue molteplici sfaccettature di sensazioni e vibrazioni.
Troilo, si abbandona ad uno scioglimento estatico che lo immerge nella grazia ed in una forma di verità liberata, comunicando con il suo bandoneon l’essenza di uno spirito acceso da un’insaziabile richiesta di umano sentire, confitto nella sua mente, nella sua carne, nel battito del sangue alle tempie, nella verticalizzazione ariosa della coscienza.
Quando Troilo ha registrato questa prima versione di Inspiracion, ne seguiranno altre tre, Felix aveva sette anni, vendeva giornali porta a porta in Calle Corrientes, tifava River, giocava a carte, fumava Tecla, Columbia, Barrirete, Brasil, Gavilán…, ma non era un bimbo di strada, anzi raccoglieva successi scolastici e premi. Sulla Calle Corrientes, piena di locali dove il pubblico andava ad ascoltare la sua orchestra preferita, il piccolo Felix aveva conosciuto Calò, Firpo, Di Sarli, Fiorentino, Marino, Pugliese, Canaro, Beniamino Gigli e altri ancora.
Tra questi Troilo, questo nome che rimanda al focoso principe schakespeariano innamorato di Clessidra: a Felix sembra legittimo coltivare la fantasia che, dietro le quinte del suo teatro di sogni e lagrime vere, sia Troilo stesso ad attendere ancora trepidante il dono del nostro ascolto, del nostro batticuore che lo mantiene vivo tra di noi con l’eterno sigillo di mayor bandoneon de Buenos Aires.

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