La Finlandia. Un paese di cui tuttalpiù conosciamo il naturalismo magico delle sinfonie di Sibelius, i nove titoli olimpici del fondista Paavo Nurmi, l’architettura ed il design raffinato di Alvar Aalto, l’affidabilità dei telefoni cellulari Nokia che hanno conquistato il mondo: e poi?
Tra i confini di questa terra “delle acque e dei laghi”, l’esprit finlandaise conserva aspetti misteriosi per noi che viviamo ben al di sotto del 60° parallelo. Certo tutti siamo al corrente con un po' d’invidia e un pò di fastidio delle qualità proverbiali di questo popolo, dall’etica civile alla sobrietà dei costumi; dalla riservatezza dei modi ai sentimenti bucolici. Meno diffusa è la consapevolezza di quanto pesi sulla loro stabilità psichica la luce, che ha cicli snervanti, alternando periodi di tenebre interminabili a stagioni in cui resta abbacinante, trafiggendo impietosamente le ore notturne. Una polarità che aggiungendosi alle particolarità climatiche incoraggia l’inclinazione alla solitudine, al silenzio e nei casi più gravi alla depressione che a propria volta favorisce l’abuso di alcool e può sfociare nei picchi estremi al suicidio.
Dall’ultimo decennio dello scorso secolo, i cinefili più curiosi hanno avuto modo di andare oltre o dentro queste impressioni di massima, viziate dai maligni luoghi comuni con cui cerchiamo di inquadrare il diverso da noi. E sono stati particolarmente fortunati coloro che hanno colto questa opportunità, non perdendosi nessuna delle geniali pellicole girate dall’eccentrico Aki Kaurismaki con la sua Arriflex (la stessa cinepresa analogica che usava Ingmar Bergman) e la sua incorregibile devozione per la vodka. Attraverso la sua poetica cinematografica sono stati divulgati aspetti imprevedibili del carattere finnico. Faccio un esempio: avreste immaginato che dietro la loro compostezza si potesse celare un sense of humor irresistibile? Kaurismaki lo fa emergere in un mèlange dove il bizzarro si incontra con la poesia, il paradossale con il minimale, la comicità con il tragico, lo squallore con la tenerezza, il simbolico con il concreto. Ma dopo questo preambolo necessario per introdurci sulla scena del crimine (sì perché in fondo esistono crimini di natura estetica), arriviamo al motivo di questa nota che apre un ulteriore varco, utile a penetrare la sfuggente anima finlandese. Parlo del libro scritto da Mauri Antero Numminen, ed intitolato Tango on intohimoni, tradotto per le Edizioni Socrates con Il tango è la mia passione. Un esilarante racconto dove tutti i personaggi sembrano usciti da una delle pellicole in bianco e nero di Kaurismaki, anche lui appassionato del tango autoctono che utilizza spesso nelle sue colonne sonore e anche in certe inquadrature dove appaiono sconcertanti orchestrine mentre suonano in un climax surreale. Per quanto strano possa sembrare questo titolo, soprattutto se uscito dalla fantasia di un finlandese, bisogna ricordare che la Finlandia ha eletto il tango come la propria musica popolare per eccellenza. Non solo: lì sono tutti convinti di essere stati scippati dalla paternità di questa musica.
Nel documentario Tango di una notte di mezza estate, Kaurismaki lo spiega a suo modo, sostenendo che questa musica nasce nella città portuale di Turku intorno alla metà del diciannovesimo secolo, e da lì gli emigranti lo portano in Argentina e Uruguay.
Il congegno narrativo di Numminen condivide questa teoria, esplorando la passione dei suoi connazionali per il tango secondo due direttrici. La prima è squisitamente biografica e ci informa sulle rocambolesche biografie degli artisti che nelle varie epoche hanno riscosso brillanti successi in patria.
La seconda riguarda la storia personale del mesto Virtanen, io narrante, protagonista e tanguero infiammato che necessita di una dose di ballo giornaliera, a costo di attraversare una Helsinki buia, come estranea a qualsiasi arcadico raggio di sole perché perennemente battuta dall’insistere di una garua che la temperatura ha solidificato in nevischio.
Il suo racconto, declinato in prima persona, oltre a divagare sui divi del tango finlandese, confessa la sua relazione con il ballo, la musica e i pericoli nascosti in qualsiasi cedimento di fronte alle armi seduttive delle donne.
Armi seduttive che per Virtanen rappresentano il rischio che potrebbe fargli oltrepassare il limite di una timida confidenza, oltre il quale diventerebbe problematico restare in accordo con la fede verso i precetti platonici.
Platone, che prescrive la verginità almeno fino al trentacinquesimo anno compiuto, è superato da Virtanen già trentaseienne.
Nonostante ciò, il nostro tanguero non è soddisfatto e guarda con ammirazione il traguardo raggiunto da Hans Christian Andersen.
Lo scrittore danese, infatti, è riuscito a raddoppiare la soglia platonica morendo a settant’anni senza aver mai avuto rapporti con le donne, comprese le molte che ha amato. Secondo Virtanen questa rinuncia verso i piaceri della carne è stata la via indispensabile a forgiare la sensibilità che ha fatto concepire ad Andersen una fiaba così tenera come La piccola fiammiferaia….guarda caso ripresa a suo modo anche da Kaurismaki come conclusione della sua “trilogia dei perdenti”.
Per quel che riguarda il ballo e la musica, apprendiamo da Numminen che mentre in Argentina, vicino al polo sud, il tango soffriva una crisi che lo stava allontanando dal pubblico, nei pressi del polo nord, intorno agli anni sessanta, i finnici si infuocavano (o almeno si scongelavano) ballando ed ascoltando i successi dei loro divi.
Ma chi sono questi personaggi che costellano il firmamento del tango finlandese, rendendosi protagonisti di gesta pittoresche? Numminen ne elenca una serie tra i quali Erno Gron, per esempio, che aveva stupito anche il pubblico argentino con le interpretazioni di tanghi dai titoli ispirati ai paesaggi fiabeschi dell’estremo nord: tra tutti, Sotto il sorbo d’autunno o Anemoni bianchi. Ma il curioso di questo personaggio è che il suo approdo al tango veniva dallo sport: dalla lotta, una disciplina che continuava a praticare alla fine di ogni spettacolo. Ogni membro della sua orchestra era obbligato a turno ad ingaggiare un furioso scontro con lui.
Tra i tanti altri tangueros boreali c’è quello che per i finlandesi è stata “la voce del secolo”, cioè una sorta di Gardel polare: Olavi Virta.
Bohemien di professione, Virta riuscì anche a farsi condannare ai lavori forzati per le reiterate prodezze da ubriaco impenitente, morendo poverissimo a cinquantasettenne anni. Fortunatamente non solo perché da gerontofilo impenitente condivideva la sua misera casupola con una compagna che aveva quattro volte vent’anni.
Chiudo questo sintetico elenco con Unto Mononen, autore di culto e chitarrista che durante le serate di tango non mancava mai di esibire la sua tecnica strumentale scatenandosi in un frenetico boogie bolgie: si sparò per sbaglio, nel 1968, maneggiando la sua pistola, mentre era ubriaco e lasciando ai posteri i suoi tanghi costruiti sui testi dei maggiori poeti del suo paese. Unto è nato a Somero proprio come Numminen che già all’età di quattordici anni suonava la batteria con l’idolo locale: lo scrittore si consacrerà musicista negli anni sessanta fondando la Orgiastic Nalle Puh Big Band dove inventa un escamotage vocale per mascherare la vergogna di cantare che lo impietriva. In sostanza si presentava facendo la parodia della sua stessa voce, con un gracchiante farsetto che, in onore alla filologia di se stesso, ha applicato nelle sue irriverenti riletture dei lieder di Schubert! Tutta questa sua cultura musicale gli ha permesso messo in bocca al suo eroico vergine, un saporito rosario aneddotico che oltre agli artisti citati conta tutta una galleria di figure dai nomi più o meno impronunciabili. Ve ne segnalo uno che se dovessi pronunciarlo metterebbe a dura prova il mio apparato fonatorio, già incline alla dislalia del rotacismo: Järvelän Pikkupelimannit.
Ma oltre all’esauriente percorso storico sul tango finnico, Virtanen ci coinvolge con le vicende che gli accadono nelle tristi balere frequetate ogni sera, impreziosite da un corollario di riflessioni filosofiche sulla sua inguaribile dipendenza dal tango e sulla sua ricerca del primato per quanto riguarda le virtù dell’astinenza. In merito al tango la dichiarazione è netta e immagino coincidente con quella di molti aficionados del tango argentino. Dice così: “tutti si chiedono quale sia il senso della vita ed io lo so: il tango!”.
Di fronte a tanta chiarezza di esposizione, fermezza di giudizio e dichiarazione d’intenti, è necessario aggiungere una precisazione essenziale intorno alla natura del tango da cui Virtanen trova il senso della sua vita.
Deve essere rigorosamente finlandese anche se è “camuffato”, vale a dire in linea con quel genere ibrido creato negli anni settanta per dare l’illusione di una proposta nuova attraverso l’utilizzo di sonorità tipiche del rock (una sorta di elettrotango ante litteram?).
Scopriamo quello che già si poteva intuire, cioè che sono pochissimi i finlandesi che hanno dimestichezza con il tango argentino, assolutamente diverso sia nel modo di suonarlo che di ballarlo: ai parrocchiani del tango in quell’estremo nord, interessa il proprio tango con i suoi testi, con la sua retorica, con il suo linguaggio musicale secondo cui è prevista una solida batteria scandire per con imperturbabile monotonia chiarezza il ritmo. Insomma nè un sottoprodotto, nè una copia del tango argentino ma, un’altra cosa che suona straniante e non per via di complicanze armoniche o di cervellotici sviluppi melodici.
Ma questo in fondo è un dettaglio perché nel bel mezzo della storia e nonostante l’estetica di questa musichina, kitsch e inconcludente, scopriamo come le opportunità relazionali che si spalancano con il ballo a Helsinki non siano molto diverse a quelle coltivate a Buenos Aires o in tutti i luoghi dove è celebrato il rito della milonga.
Così dopo avergli fatto trascorrere centinaia di serate sostanzialmente scialbe e a volte infelici, Numminen mette Virtanen di fronte ad una fortuna per lui terrorizzante e attraente insieme.
Le malie di Eros si palesano improvvisamente, minacciando la strenua difesa della sua castità, che del resto nessuna donna si era sognato di far vacillare.
Ma Anja è una femmina d’arrendevole grazia e Virtanen, letteralmente accecato dall’amore, la definisce come “la più bella donna di Helsinki. La missione impossibile di questa pallida falena che riesce solo in parte, strappando all’uomo una promessa di matrimonio, ma nessun anticipo sui piaceri della carne. Non vi dico come finisce ma fidatevi della follia di uno stralunato mattacchione come Numminen che, oltre al suo fanatismo per il tango, è capace di performances così astruse e scandalose da farci pensare a quelle di Hugo Ball o Tristan Tzara. Lo sa bene chi conosce le composizioni di questo artista dell’esagerazione. Gli esempi sono innumerevoli: già nel 1966 canta stralci tratti da una guida del sesso o selezioni arbitrarie dell’elenco telefonico; scrive capolavori come il Tractatus Suite con testi del filosofo Ludwig Wittgenstein…. giungendo al culmine inaudito con Eleitä kolmelle röyhtäilijälle, che si può tradurre con Gesticolazione per tre ruttatori. Quest’anno Numminen compie ottant’anni ma non demorde. Sentite cosa ha in mente: “sulla mia scrivania ho progetti per diversi film d’avanguardia. Forse il più agevole sarebbe quello intitolato 013. Che è il numero di codice assegnato all’acquavite Koskenkorva da Alko. Sarebbe un film d’avventura che si svolge a Turku. Tuttavia, ho curato il progetto del film per così tanto tempo che molti degli attori che avevo ingaggiato sono già morti”. Mentre il Suomi tango non cede di un centimetro della sua vitalità e anche quest’anno in strettissimo anticipo sui divieti imposti dal covid 19, si è celebrato il più datato tra i festival di tango nel mondo: il Seinäjoen Tangomarkkinat esistente dal 1985.