Nell’Argentina a cavallo fra gli anni ’70 e gli anni ’80, i giovani fruivano con piacere quella tipologia di rock locale che veniva comunemente denominato, música ciudadana, riprendendo la sigla con cui Piazzolla desiderava comunicare la sua visione del tango come musica de la ciudad de Buenos Aires. Certo mentre il tango in tutta la musica di Astor è sempre stato la spina dorsale, in questa fusione ce lo dobbiamo proprio cercare quasi sicuri di non trovarlo. E’ il caso di un gruppo che ha goduto a varie riprese del contributo di Daniel Binelli e che si faceva chiamare Nuevos Aires, navigando tra grandi sogni sostenuti da una irrisolvibile carenza di mezzi economici. Fatto sta che nel mitico studio di Lito Vitale a Villa Adelina, registrarono il materiale per una musicassetta stampata in 500 copie. Numero tanto esiguo quanto curiosamente premonitore. Ecco il perché. Nel 1983, alla fine di un concerto di Astor un membro di Nuevos Aires raggiunse il maestro mentre stava ritornando verso caso con la sua automobile, passandogli dal finestrino un esemplare di questa cassetta con la supplica di ascoltarla. Piazzolla lo fece restandone così sorpreso da compiere uno dei più apprezzati gesti di generosità tra musicisti. Il dono della partitura di una composizione che era stata scritta nel 1976 a Parigi, e che veniva affidata ai giovani musicisti di Nuevos Aires insieme a queste parole: “Se las regalo, hagan lo que quieran. Es algo en un estilo que creo que ustedes pueden hacer sonar. Se llama «500 motivaciones», porque tiene 500 compases". Piazzolla l’aveva suonata nel ’76 durante un concerto al Gran Rex, ma in seguito non l’ha mai più reinterpretata dal vivo e neppure registrata. Lo farà Nuevos Aires nel 1983 senza bandoneon come richiesto dallo stesso Piazzolla, riprendendo il tema in una recente reunion e questa volta con il fueye di Binelli. A proposito di questa pagina, mi permetto di introdurre un intermezzo di elucubrazioni musicologiche da Alka-Seltzer, sapendo di esporre i miei specialissimi lettori ad inevitabile appesantimento dello stomaco. Il dettaglio su cui vale la pena di puntare la nostra lente di ingrandimento è un elemento ritmico singolare che deforma il classico 332 che il tango ha nel suo DNA e che con Piazzolla si è affermato diventando uno dei tratti distintivi delle sue opere. In questa circostanza Piazzolla crea una sua mutazione genetica, immaginando un pattern ritmico dispiegato nell’arco di due battute con una catena di sei moduli così raggruppati e disposti, 3 3 3 3 2 2. Questo nucleo crea un piccolo terremoto nell’accentuazione, facendo sì che la tensione poliritmica non si scarichi come nel 332 in un solo compás, per concludere la sua parabola in un’unità formata da due compás. Ci tengo a precisare che Piazzolla non è l’inventore di questa formula, circolante già tra i compositori di musica colta contemporanea, e giunta persino a figure apicali della pop music come Madonna, gli AC/DC, gli U2 tra tutti. Mi limito a questo perché gli approfondimenti portano con sé l’onere di osservazioni decisamente specialistiche, seppur affascinanti. Ho voluto puntualizzare la faccenda, per sottolineare ulteriormente il valore concettuale che nutre di dettagli eterogenei l’evoluzione del tango di Piazzolla e incoraggia gli altri musicisti ad osare, uscendo dal recinto che il tango classico ha saputo coltivare con magnificenza di risultati. Inoltre questa cellula ritmica avrà in Astor una duplice valenza, diventando anche il motore melodico di certe frasi abrasive dalla franca natura ritmica e soprattutto di quelle che reiterano una cellula, cioè danno luogo ad un ostinato o cantus firmus, come da definizione risalente alle polifonie gregoriane. Nel caso del transito di una figura ritmica a oggetto semantico di una melodia, questo non significa che le note di ogni ripetizione debbano essere sempre le stesse. Il vincolo riguarda la singola durata delle note che dovranno ricalcare quelle del pattern ritmico che si sussegue identico. La scelta delle note che possono quindi cambiare, dipende dall’ispirazione o molto spesso da permutazioni del cantus firmus a cui accennavo, attraverso la tecnica del cosiddetto retrogrado. Il modello ritmico 3 3 3 3 2 2 per esempio, diventa lo stampo melodico del motivo principale di Tango Etude n°1 per flauto solo, il primo dei sei in cui Piazzolla ha dichiarato di aver utilizzato tutto il manieristico cosmo retorico che definisco il suo nuevo tango. Lo stesso avviene per esempio in un tema famoso come Michelangelo 70. Nel file audio collegato a questa nota potrete ascoltare il frammento di cui parlo e di seguito la stessa formula in 500 Motivaciones, questa volta con compito di ingranaggio ritmico. Tuttavia, tra le due composizioni menzionate c’è una differenza fondamentale che ci fa collocare Michelangelo 70 nel campo del tango, lasciando invece 500 Motivaciones su un terreno diverso e certamente affine al rock progressivo come del resto sapeva Piazzolla che descrivendo ai Nuevos Aires il suo tema dice, lo ripeto, “es algo en un estilo que creo que ustedes pueden hacer sonar”. La differenza è che sotto questo modello 3 3 3 3 2 2 con valore melodico, Michelangelo 70 è sostenuto dal tipico bajo caminante che è la forma piazzolliana del marcado en cuatro, utilizzato nel tango da tutte le orchestre e addirittura pilastro di quelle più conservatrici, D’Arienzo in testa. Questo non accade in 500 Motivaciones dove la figura portante è la degenerazione del 3 3 2 di cui abbiamo parlato e non c’è traccia degli oggetti ritmici che identificano il tango come genere. In ogni caso anche in questo tema Piazzolla non si smentisce, facendo ricorso ad una parte strutturale che è in contrasto a questi passaggi concitati. E’ quella che fa prevalere l’elemento lirico in un’atmosfera più intima, evocata con la semplice linea melodica che ci strappa inevitabilmente il cuore. Anche questa lunga parentesi lirica eredita lo stesso modello 3 3 3 3 2 2, che ha per protagonista la chitarra riecheggiando l’antico bordoneo, anche se con questa forma corrotta. In tutto questo, Binelli continuava ad idealizzare Piazzolla cercando di suonare il bandoneon con la stessa intenzione e con il medesimo virtuosismo, incarnando il ruolo di discepolo a distanza fino a quando il suonare come Piazzolla divenne suonare con Piazzolla. Il preambolo a questa opportunità avviene nel 1988, quando Astor dismette il suo secondo quintetto storico, probabilmente a causa di un importante problema di salute che lo costringe a sottoporsi ad un complicato intervento al cuore. Dopo la necessaria convalescenza il Maestro è piuttosto affaticato e forse per questo decide di cambiare l’organico, facendosi affiancare da un secondo bandoneonista. Cercandolo tra i pochissimi che potevano vantare doti temperamentali e tecniche adeguate al caso, la sua scelta cadrà su Daniel Binelli e contemporaneamente la nuova formazione cambierà completamente il timbro a cui ci aveva abituato il suo quinteto. In questa sua ultima impresa stabile, saranno coinvolti due ex colleghi, il chitarrista Horacio Malvicino e il contrabbassista Hector Console che si alterna con Angel Ridolfi, mentre gli altri membri saranno il superbo pianista Gerardo Gandini e il violoncellista Josè Bragato. L’elemento più singolare riguardava la rinuncia al violino, vale a dire allo strumento che, nella storia del tango in generale e di Piazzolla in particolare, è sempre stato l’interlocutore melodico per eccellenza con cui ha dialogato il bandoneon. Il suo posto è preso dal violoncello che invece è sempre stato un comprimario, spesso relegato al lavoro oscuro di disegnare una linea all’interno dell’impasto sonoro della sezione degli archi. Per Binelli questa convocazione ha avuto il valore di un riconoscimento incommensurabile dal punto di vista artistico, ma anche l’emozionante testimonianza di un’amicizia che lo legava a Piazzolla sin dai suoi esordi. Piazzolla scoprì il suo talento attraverso la trasmissione televisiva di un concorso in cui il giovanissimo Daniel partecipò presentandosi tutto solo. Essendo già fanatico di Piazzolla, il ragazzo aveva presentato in quell’occasione il suo primissimo arrangiamento che era nato dal tema di Astor intitolato Picasso. Piazzolla telefonò in diretta, complimentandosi impressionato dalla perfezione acrobatica dell’interpretazione, non perdendo l’occasione per aggiungere un pizzico di humor noir: “necesita cortarle los dedos”. Certo non una vivida ekfrasi ma un paradosso affettuoso e sorprendente visto che era parto di un personaggio più attirato dalle controversie che dall’empatia; dalla critica spietata piuttosto che dai complimenti. Quelle dita agilissime debuttarono con il New Tango Sextet di Piazzolla in Cile nel 1989. Tra i titoli in repertorio c’era Tres minudos con la realidad, un brano scritto nel 1957 ed emblematico di una ricerca musicale che si manifestava palesemente attraverso un linguaggio polisemico, in dialogo con sedimenti della tradizione che ubicano il compositore nel campo semantico di una “musica limite”, riprendendo e accalorando il titolo della monografia scritta da Carlos Kuri su Piazzolla. Qualche anno or sono ho avuto la fortuna di poter pubblicare sulla prestigiosissima rivista tedesca Die Musikforschung, un approfondimento analitico che scava fino all’ultimo respiro questa composizione e mi rendo disponibile a condividere con chi lo volesse questo lavoro, tramite una richiesta alla redazione di Radio Tango Macao. In questa nota, sperando che possiate aiutarvi con un’ulteriore Alka-Seltzer, mi limito a dire come sulla spina dorsale formata da una scala optofonica divisa in due modelli, Piazzolla utilizzi la sintassi dei blocchi che ha i suoi principi formali nel barocco e nella sua rilettura stravinskiana. Inoltre ritroviamo il criterio dell’ostinato cioè del cantus firmus ripetuto con una ridondanza rituale, come abbiamo visto in Zum per esempio. A differenza di Zum, questa volta l’organizzazione cambia, spostando la funzione delle fasce timbriche anche all’interno dello stesso blocco con quella permeabilità nelle transizioni di cui Piazzolla è maestro. Il tutto è ridotto alla misura temporale di un tango classico, uno di quelli che avevano la durata adeguata ad essere incisi su un 78 giri. Intorno all’idea di strutturare una composizione di questo rango nell’arco di tempo canonico per il genere, voglio citare seppur nella mia modesta traduzione, una considerazione che Gustavo Beytlemann ha rivolto durante un’intervista rilasciata a Ramon Pelinsky nel 1993 e pubblicata nel suo libro Nomadic Tango: “il tango è tre minuti; in questi tre minuti i migliori compositori del tango dimostrano quello che è, a mio giudizio, comporre, utilizzare i materiali, custodire la propria sensibilità di compositore, il timing, l’organizzazione del materiale, tutto in tre minuti”. Aggiungo un post scriptum: la menzione della medicina miracolosa non è affatto una pubblicità occulta, in quanto la ditta che la produceva a beneficio di generazioni, l’ha ritirata dal commercio diversi anni anni or sono.