Non è che si torna e ritorna su Osvaldo Pugliese e la sua orchestra per disegnarne una rosea agiografia, ma perché si tratta oggettivamente di un luogo mentale che è snodo obbligatorio per chi ha intenzione di argomentare dei concetti in merito al tango moderno e alla sua prospettiva contemporanea. Il punto cruciale è alla fine degli anni sessanta, vi era riunita la meglio gioventù dei bandoneonisti che iniziavano lì una carriera ancora vivacissima sulla scena contemporanea. E’ una storia che abbiamo ben iniziato con Rodolfo Mederos, per arrivare oggi a Daniel Binelli e prossimamente al quarto bandoneonista di quella fila di scapigliati talenti, Juan Josè Mosalini. A questi subentranti dobbiamo aggiungere l’uscente Emilio Balcarce, che abbiamo incontrato e che ci ha lasciati recentemente, ma anch’egli protagonista di un impatto importante sulle giovani generazioni come direttore della Orquesta Escuela de Tango. In questo panorama odierno aggiungo evidentemente Roberto Alvarez, entrato nell’orchestra del Maestro dopo quel fatidico ’68 e che con i suoi Color Tango è tutt’oggi un fedele messaggero del pensiero musicale di Pugliese. Va considerato anche un altro grandissimo musicista pugliesiano che sarà incluso nella nostra analisi prossimamente, Julian Plaza, finito a suonare il pianoforte con il Sexteto Tango, a comporre temi di infallibile riuscita, ad arrangiare per Pugliese, Troilo e il sexteto in cui militava. Mettendo in fila tutti questi nomi è chiaro dedurre come l’orchestra di Pugliese è stata anche una vera e propria accademia, stimolando una sensibilità aperta e per questo sfociata in diverse rappresentazioni estetiche. Nella storia del tango una filiazione da esperienza diretta si era vista già con Di Sarli che era pianista e devoto di Fresedo, con Julio De Caro il che ha coltivato un’estetica di cui saranno messaggeri Pedro Laurenz e Pedro Maffia; con Rodolfo Biagi, Fulvio Salamanca, Juan Polito, Hector Varela, tutti in formazione con D’Arienzo; con Pepe Basso, Ernesto Baffa e Osvaldo Berlingeri e chiaramente Piazzolla. Piazzolla che invece non ha coltivato musicisti che dopo si sono mossi con le proprie gambe realizzando creazioni importanti per la storia del tango: forse Piazzolla è piuttosto una sorta di accademia indiretta a cui si sono ispirati tantissimi musicisti senza essere passati per i suoi gruppi. Daniel Binelli è giunto all’audizione di fronte a Pugliese tramite il primo bandoneon dell’epoca, Arturo Penón che abitando nella località Don Bosco prossima a Quilmes dove viveva Daniel, lo andò a cercare per invitarlo. Presentatosi, anche a lui è stata richiesta la capacità di arrangiamento e la prova iniziale resterà nella storia perché riguarda una delle trasfigurazioni più vertiginose e sublimi di tutte le epoche della storia del tango. Si tratta dell’arrangiamento di A Evaristo Carriego, composto da Eduardo Rovira che ne ha dato una versione fluttuante in un trionfo di lirismo dolente. Nella lettura prometeica dell’orchestra di Pugliese, questo carattere è letteralmente stravolto con una pluralità di registri cangianti, una elasticità nell’impianto metrico, una cura di limpida fluidità nell’interpretazione. A Binelli è richiesta la variazione di bandoneon per questo arrangiamento che era in cantiere e sarà quella che verrà inserita nella versione finale del brano. Assunto, il bandoneonista è rimasto con l’orchestra tra il 1968 e il 1982, seguendo i consigli del Maestro, a cui riconosce il ruolo di “secundo padre”: si perfeziona nelle tecniche di composizione e di orchestrazione con Pedro Aguilar. Detto questo, sottolineo che in nessun progetto creato da lui, lo stile di Pugliese è palese ma agisce piuttosto come il fondo di una mentalità musicale, all’interno di una direzione estetica certamente più piazzolliana. Binelli come gran parte dei bandoneonisti deve ringraziare il padre che gli ha donato un bandoneon quando era ancora bambino e gli ha impartito, tra le pareti domestiche, i primi rudimenti necessari alla lettura della musica e alla tecnica indispensabile per iniziare a suonare lo strumento. In tutta la prima fase della carriera di Binelli, ci sono diverse analogie con quello che è accaduto a Rodolfo Mederos a partire dal bandoneon che entrambe hanno tenuto sulle ginocchia ancora bambini studiandolo in casa. Tutti e due hanno debuttato nell’orchestra di Lorenzo Barbero dove all’epoca militava anche Dino Saluzzi, un altro grande bandoneonista che, dopo un breve passaggio con Pugliese, è diventato una star internazionale del jazz. Rodolfo e Daniel proseguono con la militanza nella fila dei fueyes di Pugliese, contaminandosi a vicenda nella fascinazione per il rock progressivo che avrebbero frequentato in parallelo all’impegno con la tipica, coinvolgendo anche Mosalini. Per questo il Santo Maestro non si dava pace, organizzando riunioni su riunioni per convincerli di smetterla con i loro gruppi, sovversivi perché portano in seno strumenti imperialisti di cultura yankee, come la batteria e il basso elettrico. Tuttavia i tre erano musicisti con la freschezza inventiva che garantiva il valore aggiunto cercato da Pugliese, quindi le paternali poteva farli finire dietro la lavagna ma il loro posto nella fila dei bandoneones non era in discussione. Dopo quel riuscito esordio con la variazione di A Evaristo Carriego, Binelli è tra i protagonisti del laboratorio artigianale in cui, durante le prove bisettimanali, gli arrangiamenti vengono migliorati con smussature che possono protrarsi per diverse sedute. Arrangiando per Pugliese, Binelli apprende il segreto per fare bene quel mestiere: la sintesi, vale a dire l’esattezza di un magico equilibrio dove non va tolta nessuna nota e tantomeno aggiunta. Tra i diversi arrangiamenti ideati completamente da lui per l’orchestra, ricordo un grande tango di Alfredo Gobbi intitolato Camandulaje, ma soprattutto un altro tema che riesce ad essere ripensato, sintetizzato e tradotto stilisticamente rispetto alla versione registrata dall’autore stesso che questa volta è Astor Piazzolla con il suo Conjunto 9. Sto parlando di Zum che Piazzolla registra a Roma nel 1972 in una versione di oltre cinque minuti, dove reitera ossessivamente una cellula melodico- ritmica facendoci entrare in un clima allucinatorio. Pensate che su questa cellula di due battute, dopo una brevissima introduzione di contrabbasso con un nudo marcado en cuatro, compare per 21 volte prima che, dopo un minuto e 48 secondi, si esca da questo mantra. Si ripresenterà esattamente al terzo minuto esatto per due volte, quindi a tre minuti e 26 secondi, annunciata dalla stessa idea introduttiva con quattro battute di contrabbasso solo, riprenderà in sopravvento con 28 ripetizioni che solo in alcuni di questi eventi si presentano permutate melodicamente. Binelli prepara un manufatto straordinario, dimostrando come la creatività di un certo livello ha sempre un fondamento intersoggettivo che è culturale. Così dal tema di Piazzolla l’arrangiatore non ha timori nell’utilizzare solo quella desinenza sigmatica insistita, legandola in un impasto con idee totalmente sue, dandogli quindi la funzione di citazione. Binelli ha il coraggio di omettere anche il secondo tema, certamente più melodico, che Astor ha inserito facendo uscire l’ascoltatore dalla spirale ripetuta di cui ho detto. Viene altresì creato ex novo un altro pattern che compare nell’introduzione e che in questa parte strutturale si sviluppa, mentre la sua radice farà capolino in altre occasioni durante lo sviluppo. Poi c’è un’altra serie di novità. E’ inserito un assolo fraseggiato del bandoneon come interludio di collegamento tra due parti; il momento più lirico è affidato ad un assolo del violino accompagnato da due tessuti sonori differenti, il primo con note lunghe e un ritmo sottointeso con un accenno di rubato, il secondo con il ritmo marcato; un solo di bandoneon sempre fraseado porterà al finale dove ricompare il motivo di Piazzolla. Nel contesto del tango, e questo già nella versione registrata da Piazzolla, è interessantissimo l’aspetto armonico, perché nell’esposizione tematica è assolutamente inusuale in questo linguaggio. Per i curiosi in confidenza con le cose della musica, sottolineo che l’impianto si sposta dal si minore slittando senza preparazioni cadenzali, prima ad una terza minore sotto, in sol diesis minore, e da lì sale di un semitono a la minore. Nello scendere e salire sulle montagne russe disegnate da questo spazio armonico, l’orchestra non è affatto spaesata. Anzi, di fronte a tanto plateale sfoggio di cultura musicale, la patente di musicisti popolari di tutti i suoi membri, diventa l’arma segreta per concedersi delle libertà, come fanno i fool o i filosofi eretici con la parola. Libertà organizzate dai musicisti di Pugliese in uno stile che piega la precisone del pentagramma facendolo letteralmente vivere. Per riuscire a tanto “il faut des hommes qui connaissent autre chose que les livres”, lo dice Voltaire.
21 dicembre 2020
En el nombre del (segundo) padre
di Franco Finocchiaro
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