Alle scaturigini del teatro argentino, e quindi del tango, c’è il circo criollo, un tipo di spettacolo ottocentesco che oltre ai numeri di abilità, prevedeva una seconda parte recitata, con rappresentazioni mimate di storia patria, rifacimenti scenici di fattacci reali e disfide a contrappunto di payadores. Il circo criollo era un teatro di stoffa dove gli uomini non solo spezzavano catene, si gettavano nel fuoco e volavano come rondini, ma rivivevano teatralmente le vicissitudini del ribelle Juan Moreira o di Hormiga Negra, il gaucho malo perseguitato dalle milizie. E la riproducevano magari alla presenza dello stesso Hormiga Negra, come capitò ai fratelli Podestà quella volta a San Nicolás de los Arroyos, quando dovettero indennizzare il cavilloso Hormiga con una banconota da dieci pesos. D’altronde anche le coltellate sono giustamente protette dal diritto d’autore. Poi, a cavallo tra i due secoli, questa seconda parte proto-teatrale si sviluppò nel sainete criollo, un atto breve che all’acquerello di costume, quasi sempre ambientato in un conventillo, aggiunse elementi umoristici, conflitti sentimentali e almeno un’azione tragica, il tutto stipato nelle strofe dei primi tanghi. Carneficine più che altro minacciate, amori di sguardi, battaglie di tegami, gente perbene che canta tanghi permale e viceversa. Sui palcoscenici del sainete - che etimologicamente viene da “sain”, bocconcino, intermezzo tra due piatti forti - la malvivenza popolare aveva trovato una sua goffa mitologia fatta di bravate, doppi sensi, sberle e minacce lunghe come lame di codardi. Cosa ci voleva per fare un sainete? Dal quaderno di ricette lasciato da Alberto Vaccarezza troviamo una ricetta degna di Masterchef:
il sainete è poca cosa
un patio di conventillo
un italiano tuttofare
uno spagnolo testardo
una signorina di quelle, un magnaccia,
Due bulli col coltello,
una frasetta spinta, una passione,
scontri, gelosie, discussione,
sfida, pugnalata,
spavento, sparo,
aiuto!, gli sbirri, sipario!
Se negli anni ’30 il sainete si era già disperso nei testi di migliaia di tanghi, non così il circo criollo che invece mantenne e concentrò una sua orgogliosa identità fatta di stenti e derelizione. Ancora negli ultimi anni ’90, nella gran Buenos Aires di fango e di lamiera che la General Paz esclude dagli intrattenimenti moderni, si aggirava il tendone sdrucito del Circo Palumbo. Finché nel bel mezzo di un gelido agosto porteño, un uomo col volto scavato dalla croce, in giacca rossa e alamari d’oro, vecchio colbacco di pelame misto, bussò a una porta smerigliata che recava una scritta inequivocabile e un nome la cui fama valicava la trasparenza del vetro: Investigazioni Jean Fajean. Entrate e mettetevi pure comodi.
In questo lavoro, l’importante è fare subito una buona impressione. Ostentare
sicurezza, mostrare intuito. Quel mingherlino con i baffi puzzava così tanto
d’animale che non appena entrò nel mio ufficio mi fu facile fare Sherlock Holmes:
- Non mi dica niente: lei lavora allo zoo.
Sorrise con condiscendenza:
- No, Fajean, però ha preso la traversa. Sono un domatore e lavoro in un circo. Il
Circo Palumbo per l’esattezza, ci avrà sentito nominare. Siamo sempre sui giornali
da quando ci hanno censurato. C’è Ferrer che scrive per noi. Abbiamo il Payador
Bob, record mondiale al coperto per durata e lamentela. Abbiamo Wilkins
l’illusionista, appena uscito da Devoto, abbiamo i Milongueros Malacarne, gli
ispettori dei battiscopa. Fino al mese scorso andavamo a gonfie vele. Ma ora non
so quanto durerà.
- Perché, le sono cresciuti i nani?
Questa non lo fece ridere.
- Ci manca solo questo. Mi vuole aiutare?
- La ascolto.
Così, mentre faceva scricchiolare per la prima volta in quindici giorni la poltrona
dei clienti, Palumbo mi spiegò il suo dramma. Tutto era cominciato quando la
contorsionista, la sua grande attrazione, era diventata una stella del porno,
ambiente in cui guadagnava e si divertiva quattro volte di più. Dopo di che gli era
toccato vendere Ermete, l’elefante ventriloquo, perché nella Capitale non era più
permesso lavorare con gli animali. Poi l’Uomo Proiettile che si faceva sparare via
cantando “Adios muchachos” non l’avevano più trovato. Infine – ed era questo che
gli aveva fatto più male – un vecchio amico, l’equilibrista Mister Balance, gli aveva
fatto causa per una caduta, con la richiesta sorprendente e inaccettabile di
parecchi milioni.
- Ma non era suo amico?
- Come disse una volta Salvatore Giuliano, solo gli amici possono tradirti -
puntualizzò il domatore con tristezza mentre sfoderava una grossa busta.
Logica siciliana della più bell’acqua, così gli tenni bordone:
- Cos’è?
- La citazione. Gliela leggo.
In linguaggio da leguleio, un risentito Mister Balance argomentava che la bronchite
cronica che lo tormentava e che aveva provocato la perdita dell’equilibrio durante il
gelido spettacolo del 24 luglio era la conseguenza diretta del poderoso spiffero,
così diceva, proveniente dalle molteplici fessure del tendone, causate a loro volta
dalla recidiva negligenza nella doverosa manutenzione.
- Vediamo se ho capito: è stramazzato al suolo per un attacco di tosse e dà la
colpa a lei perché non ha mai aggiustato la tenda...
- Esattamente.
certificato d’invalidità per un anno.\ò ancora non faceva ridere.\
Alla citazione erano allegate alcune radiografie indubbiamente impressionanti di
una doppia frattura esposta di tibia e perone in entrambe le gambe. C’era anche il
certificato d’invalidità per un anno.
- Non so che cosa gli passi per la testa: il circo si è fatto carico di tutte le spese
d’ospedale. Ma per pagare la cifra pretesa dal suo avvocato dovrei vendere tutto,
compreso il tavolo del mago. E’ uno squilibrato che vuole far perdere l’equilibrio
anche a me e alle mie finanze.
- E cosa pensa di fare?
- Per questo sono qui. Il mio avvocato, il dottor Barillari, mi consiglia di chiedere
l’infermità mentale. La sua. In realtà non so cosa fare.
Era venuto il momento di stoppare il pallone e di concordare le condizioni per il
mio lavoro. Il domatore lo comprese al volo:
- Non ho il becco di un quattrino, Fajean - disse con eloquenza -. Le posso offrire
solamente un posto in platea per un anno, gli strumenti dell’orchestra, la
concessione del pop-corn. Gli animali me li hanno sequestrati tutti, tranne il
serpente.
- Passo - rinunciai elegantemente.
Trascrissi tutti i dati, dissi al domatore e impresario circense di non fare niente e lo
accompagnai alla porta.
Ciò che successe dopo fu miracoloso. Non si incrociarono perché mentre uno
scendeva le scale, l’altro sbucava dall’ascensore.
Il nuovo arrivato lo beccai subito:
- Lei è Mister Balance, il famoso equilibrista - dissi meravigliandomi io stesso della
mia fortuna.
- Come fa a saperlo? - s’inorgoglì il tipo.
- Lo sguardo fisso, il portamento... - mentii spudoratamente
- Sì, può essere.
L’avariato Mister Balance depose la stampella e si mise comodo sulla poltrona
ancora tiepida di Palumbo.
Stavo per dire “Cercavo proprio lei”, ma lui parlò per primo.
- Mi hanno messo in mezzo, Fajean.
Lo lasciai parlare, secondo la salutare abitudine della nostra professione. All’inizio
mi raccontò quel che già sapevo, poi la questione che mi riguardava. Il problema
del malmesso Mister Balance era che, ancora convalescente per la caduta, un
avvocato specializzato in cause per danni lo aveva convinto a firmare una delega
con pieni poteri. Ora voleva ritirarla per timore che quell’avvoltoio esagerasse.
- Capisco - e continuai come un razzo - Come si chiama quell’uccellaccio del
malaugurio?
- Dottor Mortimer.
- Gli daremo la caccia.
Non potevo parlare di svanziche con un menomato, così sorvolammo.
Non posso nemmeno chiamarlo lavoro. Investigai per un paio di giorni e risultò che
Mortimer e Barillari - i tenebrosi mestatori - erano soci in pectore e dirimpettai di
studio. Smontai la causa e riconciliai le parti. Ci pensarono i circensi a dare
letteralmente una strizza ai due furbastri: gli mandarono Pappina, il forzuto albino e
l’Uomo Tornado. Non disturbarono più.
Quindici giorni dopo si presentarono insieme in ufficio per ringraziarmi.
- Riapre il Barnum creolo! Avete cucito il tendone? - li presi in giro.
- No, basta con la rogna - disse il domatore riconoscente. - Con i ragazzi abbiamo
messo su un Scuola di Circo a Palermo Viejo. Per adesso senza stipendio..
E mi presentò Formitrol, lo gnomo cantante, un prestigiatore infantile e il pagliaccio
Farabutto. Tutti del corpo docente, supposi.
- Io insegno Equilibrismo - disse timidamente Mister Balance senza tossire e
roteando la stampella.
Nessuno parlava di denaro.
- Lo spettacolo deve continuare - dissi.
Così mi iscrissi al corso di trapezio basso. Loro furono dei signori. Mi diedero una
borsa di studio.