Roberto Alvarez è conosciuto soprattutto per Color Tango, un’orchestra di viventi,
tanto per cambiare, di contemporanei. Dapprima fuoriusciti, poi supplenti, infine
portabandiera e continuatori del grande stile di Osvaldo Pugliese. Da trenta anni, e
cioè dai primi dischi pieni d’orgoglio fino agli inediti del loro Dio, i Color Tango
custodiscono la fibra, la dignità, l’altura sovrana della coerenza. Il 7 maggio scorso
è stato l’ottantesimo compleanno di Roberto. Questa è la storia del suo tango più
immortale.
Una volta Charles Bukowsky ha aperto un reading a Redondo Beach dicendo:
sono qui per far mettere Redondo Beach sulle mappe. Roberto Alvarez ha
composto Chacabuqueando per far mettere sulle mappe Chacabuco. A dire il
vero, sulle mie mappe Chacabuco c’era già, grazie a un altro suo figlio, Beto
Salomone, bandoneonista anche lui, guardia notturna a Latina, con le stesse tre
dita teneva lontani i ladri dallo stabilimento e i ballerini dalle piste del Charango di
Roma. Ma questa è un’altra geografia…
Della metà vita che ha preceduto la vera nascita di Roberto Alvarez si sa soltanto
quel che basta per lasciarci intravedere un giovane favoloso comandato dal tango,
intravediamo il magistero di José Bimbo Marsiletti, la devozione per Pugliese e un
unico sogno intrattabile: diventare Laurenz, Ruggiero, Federico. La stoffa dei
campioni Roberto ce l’ha, e dentro il suo mantice c’è il fuoco, ma pudore di
provinciale e rispetto verso le divinità di Buenos Aires, lo trattengono lì, a sfrigolare
nel purgatorio dei gironi locali. Così trova un impiego al mulino, guida il camion
fantasma della farina Kilomax e sposa la prima ragazza che soddisfi i requisiti
pugliesani. Per marcia nuziale sceglie La Mariposa, nell’arrangiamento di Julian
Plaza, beninteso.
Da sposato eccolo dietro al bancone di un emporio. Il tango è relegato ai fine
settimana, quando accompagna le voci d’oro che il miraggio di un cachet attira tra
le barbabietole. Nessuno meglio di Osvaldo Soriano in Quartieri D’Inverno ha
descritto il destino decrescente di questi cantanti. Il tango, del resto, sta andando
a catafascio, in questi anni ’70, violentissimi in tutto, persino nelle cravatte. A un
certo punto Roberto dice basta, chiude rabbiosamente il bandoneón in un
armadio, va a suonare il basso elettrico in un gruppo di cumbia e il trombone in
uno di simil-jazz, con paglietta e tutto.
Ma un giorno a Chacabuco arriva l’orchestra di Pugliese. E’ il 1978, l’anno dei
Mondiali della dittatura. Pugliese - si saprà molti anni dopo - è nella lista nera, non
gli danno lavoro, perde i musicisti. Mosalini se n’è appena andato in Francia,
sostituito da Adrover, ma anche lui è temporaneo, c’è bisogno di un
bandoneonista. Qualcuno dice al grande Arturo Penón che lì a Chacabuco ce n’è
uno bravo. Che si presenti fra cinque giorni a Buenos Aires.
Roberto ritira fuori lo strumento, studia giorno e notte, prepara Los Mareados che
Pugliese ha appena inciso nell’arrangiamento di Penón, un arrangiamento che è
una burrasca di note. E prepara qualcosina di Piazzolla, tanto per far sentire che
anche a Chacabuco ci si tiene informati.
Arriva il gran giorno, Roberto si presenta in spasmodico anticipo. Lo mettono
davanti a Pugliese come davanti a una pala d’altare. Improvvisamente Roberto
vede da fuori la sua insolenza: ma chi sono io per venire a spiegare la guerra di
Troia a Omero? Suona il meglio che può e consacrerà la sua vecchiaia al racconto
di questo provino con Pugliese. Il quale però lo ferma: Está bien, Alvarez, ora però
ci suoni un tanghino rompe y raja, di quelli che spaccano. Vuole sentire se lì dentro
c’è del tango.
E sia: va Il Pollo Riccardo, in automatico, ben marcato, come l’ha suonato mille
volte per elettrizzare i balli tra coniugi. Pugliese sorride: bene, molto bene. Ora
Alvarez, mi dica una cosa, lei gioca al Truco? Certo, ovviamente. Il Truco e il Tango
sono le due grandi conversazioni di Buenos Aires, dice Borges.
Vada per un Truco a quattro, Alvarez gioca contro Pugliese. Fin dalle prime mani,
ha le carte più belle che abbia mai visto in vita sua, fiorite, onnipotenti. Ma chi
sono io per vincere, si chiede ancora Roberto, chi sono io per battere Pugliese? E
quindi le scarta, gioca al contrario. Pugliese se ne accorge, gli dice: la prossima
volta cercherò di renderle più difficile lasciarmi vincere. Quindi ci sarà una
prossima volta! Roberto è così emozionato da dimenticarsi di essere venuto in
macchina. Torna a Chacabuco in corriera, la fortuna continua ad assisterlo, la
corriera miracolosamente è in orario.
I primi anni con l’Orchestra dell’Olimpo non gli sembrano neanche veri, ogni giorno
è come il primo mattino del mondo, ogni tango ha una luce nuova, iridescente.
Poco a poco le braci si riaccendono, Roberto diventa tutt’uno con lo stile di
Pugliese, nel 1983 viene promosso primo bandoneón. Sarà il pilastro dell’orchestra
nei suo ultimo decennio buono. Pugliese lo incoraggia a scrivere. Risultato: 25
arrangiamenti e un tango bellissimo, dedicato a Chacabuco e declinato al gerundio
giratorio così di moda, chissà perché, tra i titolisti, Taconeando, Pichuqueando,
Contrabajeando, Solfeando e ora Chacabuqueando. E’ un tango scopertamente
autobiografico, il conflitto drammatico tra vocazione e rinuncia, uno sterrato di
trentotto anni, cardi e malve che affiorano tra gli squarci lirici dei violini e i magli di
ghisa dei bandoneón. Un cuore d’artista messo a nudo.
Ma deve ancora superare la prova della Yumba, ossia venire eseguito subito dopo
l’uragano d’applausi che immancabilmente accoglie l’inno nazionale Pugliese. La
reazione del pubblico è buona: Alvarez, il suo tango è un successo.
Chacabuqueando entra in repertorio e Chacabuco nelle mappe. Pugliese lo incide
tre volte. Cercate su YouTube e guardate l’orgoglio di Roberto, la sua intensità di
tigre mentre lo suona al Teatro Colón nel 1985 e al Teatro Carré di Amsterdam nel
1989, la notte in cui Pugliese e Piazzolla condividono lo stesso palcoscenico.
Ma tutto finisce nella vita. La copa del olvido, il bicchiere della dimenticanza è la
cerimonia idraulica con cui Pugliese si congeda dai musicisti che lo lasciano. Nel
1989 si produce la più straziante delle separazioni, i motivi lasciamoli stare, nasce
Color Tango. Un disco prodotto in Olanda da un certo Emil - taccagno leggendario
che i ragazzi chiamano El Hijo De Mil, sottinteso Putas - raccoglie i primi
arrangiamenti originali, in cui l’orchestra s’ammazza per non sembrare Pugliese
pur essendolo. Al bandoneón c’è Victor Lavallen, al basso Amilcar Tolosa, violino
Fernando Rodriguez, tutti senatori di Pugliese.
Ma le casate si separano quasi subito perché lavoro non ce n’è, le milonghe sono
anni che non hanno soldi per la musica dal vivo, i primi festival europei vogliono
robetta ritmica, sempre il solito Pollo Riccardo. Roberto tiene botta, tira su dei
giovani di talento e torna dietro un banco, stavolta di missaggio, nel suo studio di
registrazione.
Fortuna vuole che nel 1993 la più pugliesana compagnia di tango di tutti i tempi, la
Compañia Tangueros di Mariachiara Michieli e allora Alejandro Aquino stia
cercando un’orchestra dopo il ritiro del Sexteto Tango. Ruggiero, Balcarce,
Herrero, vecchi eroi che non se la sentono più di viaggiare.
Color Tango diventa per sei anni l’orchestra della Compañia, Mariachiara sceglie
tutte le musiche per le coreografie, a cominciare da quelle che balla lei come A
Evaristo Carriego, Los Mareados, Malambeao, El andariego, Contrapunto, e quelle
che crea per gli altri ballerini La Payanca, Nochero Soy, Festejando, Malandraca,
Locura Tanguera, Negracha, Bordoneo y 900, Zum, pezzi meravigliosi che
riportano Roberto Alvarez nel bel mezzo del suo paradiso perduto.
Quando Pugliese muore, Color Tango è in Italia. Al ritorno Roberto viene
intervistato. Se potesse parlare con Pugliese, cosa gli direbbe?
Gli direi: Osvaldo, lei mi ha insegnato che la musica non è un milione di note, ma è
quella sola piccola cosa fatta con il cuore e che poi commuove chi l’ascolta. So
che quel poco che sono lo devo tutto a lei. L’ho ammirata profondamente e le ho
voluto bene come a un amico. Rimpiango con tutto il mio cuore di non esserle
stato vicino fino alla fine come le avevo promesso. So che lei mi ha dato tutto e mi
ha insegnato moltissimo. Per questo continuo a portare la sua casacca. Anche se
lo volessi, non potrei suonare in un’altra maniera. Il suo stile e la sua musica
viaggeranno sempre dentro la mia anima.
E infatti la nuova versione di Chacabuqueando che viene registrata nel 1997 grazie
a un produttore con il conto in banca a Medellin, non è altro che un’elegia, ancor
più sincera e toccante, c’è il languore all’uncinetto di una milonga campera e
l'evocazione di Pugliese sotto forma di un solo di piano che è un abbraccio
d’addio e un rimpianto. L’esito è sublime, orchestre di ogni parte del mondo lo
mettono in repertorio, Chacabuco entra così nelle mappe coreane, turche,
piemontesi e persino sarde. All’anfiteatro di Nora ancora si ricordano di quando
uno stormo di fenicotteri rosa sorvolò il palcoscenico durante quel solo di piano.
Mariachiara ne ha fatto una coreografia memorabile per una coppia di ballerini il
cui nome non voglio ricordare. Roberto la vede per la prima volta da fuori nel 1999
al Metropolitan di Zurigo. Ero di fianco lui e posso testimoniarlo in tribunale, ci si è
specchiato dentro fino in fondo, solo lui sa che cosa ha visto, erano le sirene che
cantavano di lui e della sua vita. La piccola cosa fatta con il cuore stavolta aveva
mosso le sue, di lacrime.
25 maggio 2020
Chacabuqueando
di Marco Castellani
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