Tante volte mi sento dire: “Lei scrive bene” e io rispondo: “No... ma guardi che....”
Altre volte: “Quella canzone l’ha scritta lei? E’ un poeta!”. “Chi, io? Ma no, guardi che.....”
Da ragazzo ero molto curioso e ammiravo la bellezza delle cose intangibili e le persone capaci di produrre musica, pittura e poesia.
Il mio cuore era un fantasma che mi perseguitava, mi torturava nelle notti, mi parlava di giorno. Voleva che io scrivessi quello che lui aveva da raccontare.
Unico testimone dell'assassinio della mia innocenza, vittima dei dolori per amori non corrisposti.
Muto e analfabeta, voleva scolpire fogli di carta attraverso le mie mani, sognava di poter urlare canzoni con la mia gola. Dopo cotanta battaglia, la mia umana debolezza ha solo ceduto al suo ricatto.
Tutto cominciò alle elementari, quando avevo sette anni. C'era un concorso letterario e tutti gli studenti potevano partecipare.
Io scrissi una frase, la mia maestra bisbigliò sotto voce una parola per completarla.
Vinse il primo premio, un libro che adesso ho davanti a me, mi porta tanti ricordi.
Forse quel gesto che potremmo definire un po’ scorretto fu estremamente didattico. Qualunque educatore farebbe carte false per poter dare ad un allievo un occasione unica e cambiare il corso delle cose,
lei ci riuscì con un piccolo gesto che rimane vivo in me dopo tanti anni.
Passò il tempo, arrivò la chiamata al servizio militare, erano gli anni della dittatura. Ricordo che facevamo turni di guardia nell'aeroporto di Rosario.
I turni erano in teoria di quattro ore, ma sapevamo già che ci avrebbero lasciato lì tutta notte e non sarebbero passati fino al mattino seguente a darci il cambio.
Quando dovevo stare di guardia la notte il pomeriggio mi mettevo in strada a fermare le macchine, e con la scusa di visionare i documenti, chiedevo sigarette.
Arrivata la sera, possedevo un sacco di "Cigarillos" di tutte le marche.
Avevo un compagno di guardia che faceva teatro amatoriale.
Portavo con me i miei libri di poesie di autori sudamericani, e le mie sigarette, passavamo la notte facendo improvvisazioni di teatro e leggendo Pablo Neruda e Cesar Vallejo.
Rileggevo sei o sette volte una frase per comprenderla, non mi capacitavo di come potevano esprimere un concetto in quel modo così, immortale.
Poi, come una farfalla di sottile legname, si adagiò sulle mie braccia una vecchia chitarra. Mi sforzai di trattarla dolcemente, il mio cuore la avvertì e comprese che poteva ricattare anche lei nel libro delle sue sventure.
Cosi nacquero una dopo l'altra tutte le mie amate figlie.
Iniziai a regalarle a quelli che volevano ascoltare il mio cuore.
Lui sapeva che quei corpi sconosciuti portavano dentro altri cuori assetati di storie e di emozioni mai espresse.
Poi, m’innamorai di una donna. Per lei scrissi tante poesie, parecchie canzoni ed il mio primo tango.
Un giorno mi disse che voleva anche lei scrivere testi e canzoni come me.
S’iscrisse all'università di letteratura. Studiò tutto, per tanti anni. Non riuscì a scrivere mai niente.
Un giorno mi lasciò e arrivarono le mie migliori canzoni. Non riuscii mai a spiegarle che quello che lei voleva non si studia. Non esiste la fabbrica dei poeti. C'è solo l'umile decisione di accettare di essere uno strumento.
Se l'ego prende il comando della nave sarai solo espressione della tua mente e non emozionerai nessuno.
L'anima è predisposta dalla creazione al sogno. Ha bisogno di un corpo per viaggiare e di una mente per esprimersi. Da questo impasto di luce e carne nasce il limite umano e l'infinito della poesia.
Cantava Joan Manuel Serrat:

Non faccio altro che pensare a te,
niente mi piace di più che fare canzoni
ma oggi le muse sono andate via da me
saranno in vacanza.

Oggi il tango argentino spopola nel mondo, ma la maggior parte delle persone non ne comprende i testi, incolpevolmente ignora l'esistenza dei poeti del tango che sono stati in molti casi i fautori del successo eterno di tanti dei pezzi più famosi.
Penso a "Uno", o "Cambalache", o "Esta noche me emborracho" di Enrique Santos Discepolo, cosa sarebbero senza quelle parole, forse solo bellissimi tangos e niente più.
L'importanza del drammaturgo popolare Jose Gonzales Castillo, padre anche artistico di Catulo Castillo, quella del "negro Cele" (Celedonio Flores) che morì senza vedere la fine della censura ai suoi bellissimi testi in lunfardo, l'eterno gnomo sognatore "Discepolin". Homero Manzi, poeta raffinatissimo, autore di "Malena", "Sur", "Fuimos", Tal vez sera su voz", "Fruta amarga" , "Torrente","Ninguna" e altre,
nonché creatore della milonga portegna insieme a Sebastian Piana.
Il grande Enrique Cadicamo, il sempre moderno Homero Esposito.
Ho sentito dire che la musica è assimilabile alla matematica, niente di più falso, la musica è poesia dell'anima.
Se manca questo è solo un rapporto matematico tra i suoni.
La scrittura non è un’elucubrazione mentale per misurare la quantità di sillabe e ricercare il ritmo e la risonanza di parole vuote.
E anch'essa poesia dell'anima.

Testo del tango Discepolin di Homero Manzi

Sobre el mármol helado, migas de medialuna
y una mujer absurda que come en un rincón ...
Tu musa está sangrando y ella se desayuna ...
el alba no perdona ni tiene corazón.
Al fin, ¿quién es culpable de la vida grotesca
y del alma manchada con sangre de carmín?
Mejor es que salgamos antes de que amanezca,
antes de que lloremos, ¡viejo Discepolín!...

Conozco de tu largo aburrimiento
y comprendo lo que cuesta ser feliz,
y al son de cada tango te presiento
con tu talento enorme y tu nariz;
con tu lágrima amarga y escondida,
con tu careta pálida de clown,
y con esa sonrisa entristecida
que florece en verso y en canción.

La gente se te arrima con su montón de penas
y tú las acaricias casi con un temblor...
Te duele como propia la cicatriz ajena:
aquél no tuvo suerte y ésta no tuvo amor.
La pista se ha poblado al ruido de la orquesta
se abrazan bajo el foco muñecos de aserrín...
¿No ves que están bailando?
¿No ves que están de fiesta?
Vamos, que todo duele, viejo Discepolín...

diritti d'autore Victor Hugo Del Grande
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in foto: il poeta Enrique Santos Discepolo