Billy Cafaro, un cugino di Virgilio Exposito, è stato un idolo per i giovani che scoprivano il rock in Argentina nella seconda metà degli anni ’50, vendendo centinaia di migliaia di dischi almeno fino al 1959. In quell’anno commise l’imprudenza di registrare la versione in castillano Kriminal Tango. L’idea di questo Celentano del Rio de la Plata aveva un fondamento commerciale in quanto il brano era un successo internazionale, composto da Piero Trombetta il notissimo “re del Tango”, direttore di una orchestra tipica nostrana…. portato al successo in Italia da Fred Buscaglione e sul grande schermo dall’austroungarico Géza von Cziffra. Purtroppo Billy e i suoi discografici della Columbia non avevano fatto i conti con i supporter del tango autoctono e tradizionale i quali, dimenticandosi per un attimo di contestare Piazzolla che già allora era sotto mira, fecero montare un’aspra contestazione contro il nostro Billy. I tangueros si sentirono offesi, attaccando i rockeros e scatenando un clima pesantissimo. Erano finiti tempi in cui Cafaro doveva raggiungere gli studi di Radio El Mundo arrivando in elicottero perché tutto il centro era congestionato dai suoi fans. Questo insulso Kriminal tango fu il primo significativo contatto tra il rock e, se non altro, la parola tango. Nella decade seguente l’ulteriore step giunse nel 1974 quando il chitarrista e cantante rock Litto Nebbia, prese in prestito, per la prima volta, la voce e forse l’anima suprema del tango: il bandoneon. E quel bandoneon che compare in due tracce del suo disco intitolato Melopea è suonato da Rodolfo Mederos, vinile a cui partecipa anche Rodolfo Alchourron, chitarrista di vanguardia con il trio di Rovira; con Piazzolla nel cd dove sono registrate le musiche dello spettacolo Tango Apasionado; con il primo cuarteto di Mederos ascoltato nella scorsa puntata, e qui arrangiatore di scuola Ginastera. L’uscita di Mederos dal tango è corrisposta all’entrata nel mondo di Litto Nebbia, di Rodolfo Alchourron, di Luis Carlos Spinetta con cui registra nel terribile 1976 e che contiene senza volerlo una preveggenza di quello che sta per capitare nel Paese con la dittatura. Il titolo dell’album è El jardin de los presentes, il gruppo di Spinetta si chiama Invisibles, il brano conclusivo si intitola Las golondrinas de Plaza de Mayo…tutto sembra alludere alle madri che dall’anno seguente iniziarono la loro inesauribile ronda di disperazione e speranza in Plaza de Mayo, la loro presenza di golondrinas per ricordare gli invisibles cioè i loro congiunti desaparecidos. In questo disco, in cui figura anche Juan Josè Mosalini, del tango resterà solo il timbro del bandoneon, acustico, spaesato e in fondo inadeguato. Questo non importa molto a Mederos che, elettrizzato e confuso, è depistato felicemente dalla vague del nascente rock nacional. Il bandoneonista immaginava con rischiosa disinvoltura che quello poteva essere il terreno accogliente, per sperimentare e creare con il suo strumento qualcosa di completamente estraneo a tango. Sulle ali di questo entusiasmo, sempre nel 1976, Rodolfo crea la formazione Generacion Cero pubblicando il disco Fuera de Broma. Il giudizio personale è molto critico e non perché sono un matusa certificato, visto che quando mi capita di ascoltare il rock della mia prima giovinezza degli zabaioni e delle fragole, non sono affatto severo neanche di fronte alla banalità dei riff stagnanti e dei virtuosismi fumosi, di quei miei vecchi idoli. Nella combinazione ibrida di questa stagione progressive, Mederos sembra si sia temporaneamente pacificato mettendo in mostra i sottoprodotti delle sue qualità. D’altronde il progetto ha molto successo contraddicendo clamorosamente le mie perplessità. Tuttavia questo exito rotundo non impedisce a Mederos di soffrire una crisi artistica che le sue stesse parole riassumono così: “con Generacin Zero me sentìa traidor y, al mismo tiempo, liberado!”. La crisi si spinge anche sul piano personale e in questo disagio Mederos si accinge a prendere una decisione radicale che fortunatamente confessa al grande musicista brasiliano Egberto Gismondi, anch’egli studente di Nadia Boulanger come Piazzolla. Vuole lasciare il bandoneon per il sax, e naturalmente Gismondi valuta questo slancio come quello di un irresponsabile, consigliandolo di toglierselo dalla testa. Mederos ci riflette e retrocede dalla sua autoflagellazione artistica, ma i tempi continuano ad essere grami per un bandoneonista. Fortunatamente ci sono altre opportunità, soprattutto per uno come lui che ha una mentalità aperta verso le nuove esperienze. Il teatro per esempio. Mederos partecipa a produzioni teatrali di importantissimi registi come Ricardo Monti che nel 1981 porta in scena La cortina de abalorios, presentato nella succinta stagione creata da quella straordinaria esperienza di resistenza culturale che è stato il gruppo teatrale Teatro Abierto, fondato durante la fase calante della dittatura, quando il Paese fu guidato per pochi mesi da Eduardo Viola, un generale con una impressionante lista di crimini documentati sulla coscienza e tuttavia meno ferreo di Videla. Il lavoro di Monti fu inserito nel cartellone in programma al Teatro del Picadero, dove vennero raccolti 21 atti unici di altrettanti autori, in una kermesse di circa una settimana intitolata Vamos a demostrar que existimos. Purtroppo non ci sono registrazioni della musica che ha composto Mederos per quello spettacolo di Monti, suonandola in scena. Ma per dare un rapidissimo saggio della scrittura sulfurea di questo drammaturgo, riporto dopo averla tradotta, la battuta di un personaggio che si chiama Mamà. Si tratta della maitresse di un bordello nel XIX secolo a Buenos Aires, dove con i poteri seduttivi della sua sessualità illimitata, tengono a bada il potere di uno spagnolo e di un inglese, simboli dell’oppressione imperialista nei confronti dei nativi. Questa relazione equivoca è la metafora ci come la storia politica della civilizzazione e la storia del potere, si scientifica tra le pieghe del sesso femminile e questa sessualizzazione della storia della civilizzazione si riassume nella barbarie. Ecco cosa dice Madame al Mozo, un giovane cameriere della casa che la visita in un momento di reciproca libertà. Madame è seduta e apre le gambe dicendo: “Sai cosa è questo? Un museo. Diciamo un museo dell’immaginazione. Osservalo con attenzione, neon tutti possono guardare questo specchio. Qui puoi vedere le pagine più brillanti della storia dell’immaginazione…. Qua c’è la sostanza…l’assoluto…sono stata chiara? E’ così dal cielo all’inferno”. Fatto sta che quella ribalta di drammaturgia contemporanea durò una settimana perché il teatro che ospitava l’iniziativa, prese fuoco all’alba del 6 agosto. Non c’è bisogno di spiegare quali potessero essere i mandanti di quell’incendio così puntuale. Ma questo non decretò la fine del gruppo che trovò un altro spazio con un sostegno straordinario di personaggi illustri quali Osvaldo Soriano, il Nobel per la Pace 1980 Adolfo Esquivel e addirittura Jorge Luis Borges. Gli spettacoli del ciclo finirono per essere ospitati al Tabaris di Calle Corrientes, teatro di varietè di taglia media, con un salone da ballo e una programmazione di tango che, tra gli altri, ha visto sul suo scenario Troilo e Pugliese. Quattro anni più tardi Mederos sarà invece convocato per un film e questa volta non solo per scrivere la colonna sonora come accadrà più avanti per il mediocre El Día Que Maradona Conoció A Gardel, ma per ricoprire il ruolo di protagonista nella pellicola Las veredas de Saturno diretta da Hugo Santiago, un eccellente regista argentino esule a Parigi. In questa sceneggiatura scritta da un romanziere di altissimo livello come Juan Josè Saer, il tema è quello dell’esilio che all’epoca era molto penoso e che ha toccato profondamente anche il tango provocando una vera e propria diaspora. Così Mederos nella finzione della sceneggiatura impersona un bandoneonista fuggitivo dalla dittatura, proprio come è realmente accaduto per diversi grandissimi musicisti che hanno scelto di esiliarsi nella capitale francese. Naturalmente il tema del ritorno e la nostalgia che comporta l’impossibilità di realizzarlo, disegna i sentimenti di questo musicista che nelle sue passeggiate cortazareane incontra il fantasma di Arolas, anche lui vissuto e morto a Parigi sessant’anni prima e vittima di un esilio, non politico ma d’amore. La straziante vicenda girata in bianco e nero commossa sensibilità da Santiago, è allacciata ad una pellicola che lui ha stesso girato tra il 1968 e il 1969 intitolandola Invasión, con il privilegio di una sceneggiatura scritta insieme a Jorge Luis Borges. L’invasione annunciata dal titolo è ai danni di una città immaginaria che Borges chiama Acquileia e che è esattamente il luogo dove vorrebbe ritornare il nostro bandoneonista interpretato da Mederos. La colonna sonora è originalissima e testimonia un sintomo che poco più tardi convincerà Mederos a ricredersi sulla necessità di prendere le distanze dalla musica arrangiata partendo dal linguaggio e dalla struttura del tango tradizionale. Il sintomo è il riavvicinamento alla musica di Arolas che qui è trattata ancora in una veste stravagante di carattere sperimentale. Oltre ad alcune composizioni proprie Mederos stravolge sei temi del Tigre del bandoneon e questa volta il contesto vede il tango rielaborato con una scrittura e alcune aperture strutturali, affini alla musica contemporanea. La particolarità più singolare è che insieme a bandoneon, chitarra, contrabbasso, cello, viola e violino c’è quello che Voltaire ha incoronato come il Re degli strumenti: un clavicembalo e più precisamente un clavicembalo francese a due tastiere come prescritto dall’originaria scuola fiamminga. Dopo questo primo passo che riprende alcuni tangos scritti nelle prime decadi del ‘900, la marcia indietro è convinta e totale, cosicchè l’eresia gnostica si converte in ortodossia agostiniana e Mederos, almeno sulla carta, teorizza come nella nostra epoca, essere d’avanguardia è tornare a recuperare le essenze locali espropriate allo scopo di consolidare culturalmente il modello di un mondo che si stava rapidamente globalizzando. Con la riscoperta dei tesori di Troilo, Gobbi, Salgan e Pugliese, Mederos ha una sorta di allontanamento dal Piazzolla di cui era stato un fanatico ascoltatore, che aveva scelto come suo punto di riferimento e scoperto persino amico. Un amico di inattesa generosità che gli ha prestato, e quindi regalato, un bandoneon. In quel momento in cui Mederos se la passava molto male, gli era successo di addormentarsi su un treno facendosi rubare lo strumento. Piazzolla gli aveva anche dimostrato una stima che per lui era molto difficile elargire: lo testimonia il fatto che ancor prima del periodo pugliesiano, gli chiese degli arrangiamenti per Ana Maria Cachito, una cantante che doveva accompagnare in una turnèe. Poi il suo commento al primo sguardo su quelle partiture divenne un incitamento a svincolarsi dai modelli ed essere se stesso: “esto es Piazzolla…para Piazzolla està Piazzolla, vos tenes que escribir como vos”. Ma, come si dice, tanta acqua era passata sotto i ponti, e dagli anni ’80 Astor è ripensato sotto una luce critica, seppur l’influenza piazzolliana sarà dura da smaltire e nutre anche incisioni di fine anni ’90 come Eterno Buenos Aires. Mederos lo identificava come un meraviglioso prodotto fusion, impregnato di un pensiero parigino o newyorkese, e per questo distante dalla concezione degli altri grandi evoluzionisti del tango che hanno sempre custodito l’essenza delle melodie di Arolas, Bardi, Cobian. Anche Mederos aveva abbandonato queste radici, animato dalle ragioni di un legittimo conflitto generazionale, e per lui era arrivato il momento della penitencia. Una penitenza che non corrisponde a quella ironica della scorsa puntata con il verso di Santoro che ripeteva no debo tocarle el culo al general. In questo caso per Mederos era diventava piuttosto, debo tocarle timbre a Pugliese: devo andare a suonare il campanello di Don Osvaldo Pugliese. Lo fa cospargendosi la testa di cenere, portando i pasticcini da mangiare mentre si sorseggia un mate e annunciandogli la redenzione che gli ha fatto capire quanto fossero stati importanti gli anni trascorsi alle sue dipendenze. E il pensiero deve essergli frullato nella testa già da quando ha preparato le sue composizioni per la soundtrack di Las veredas de Saturno, dove una di queste è dedicata a Pugliese ed ha il titolo Chau Osvaldo. La spinta verso questa presa di coscienza si consolida con l’impegno nella sezione tango della Escuela de Musica Popular de Avellaneda, dove si realizza il primo importante esempio di programma didattico per insegnare il tango alle nuove generazioni. Ed è di assoluta evidenza come un progetto del genere, debba organizzarsi per fornire gli strumenti per l’apprendimento degli elementi fondativi del linguaggio nel tango, seguendo tutti i passaggi che questo percorso prescrive. Così Mederos inizia a riprendere le melodie più semplici e tradizionali scoprendo che, proprio lì, è in bella evidenza l’essenza di questa cultura che, coincidendo con la sua cultura, rimanda ad un tempo ritrovato proustiano. Per lui stesso la lanterna magica di Marcel, o le sue madelaine, risalgono all’emozione del bambino di cinque anni che si trova sulle ginocchia un bandoneon. Per i ragazzi di quegli anni ottanta invece, il tango non si era appoggiato sulle ginocchia, ma forse rispondeva a un desiderio indistinto a cui cercavano di dare un nome. La scuola ha tuttora un buon successo e ha formato, con le evidenti differenze di valore, molti dei protagonisti della cosiddetta guardia joven che raccoglie l’eredità del passato, di un passato che ha pochi testimoni autorevoli nel presente. Mederos è uno di questi che con la sistematizzazione della didattica, la preparazione di ciclostilati e arrangiamenti per tutti i livelli degli studenti, ha letteralmente creato quella che oggi chiamiamo didattica a distanza, nel senso di una didattica in vitro che, in passato era invece in presenza, direttamente sul campo nelle orchestre tipiche, dove i musicisti entravano molto giovani imparando il linguaggio dai compagni più esperti. La Escuela Popular de Musica de Avellaneda è in sostanza quello che è la Berklee School of Music per il jazz a Boston: un luogo dove apprendere le tecniche strumentali ad approfondire il linguaggio del tango. Per il tango contemporaneo è stata una vera benedizione che ha gettato le basi affinchè questa musica continuasse ad essere portata avanti dalle nuove generazioni. Contemporaneamente, il ritorno del figliol prodigo nel tango si traduce ad una serie di cd, negli anni ’90, dove la gran parte del repertorio proposto attinge a quello della tradizione, salvo qualche composizione originale di Mederos che si occupa di scrivere tutti gli arrangiamenti. Siamo ancora in un’orbita piazzolliana che con il passare degli anni questa impostazione stilistica sfumerà. Nel 1993 esce un cd in quintetto dove con Mederos figurano il pianista Hernan Possetti, allievo nella Escuela Popular de Musica de Avellaneda di un importantissimo pianista quale è stato Orlando Tripodi; il violinista Damian Bolotin, il chitarrista Armando de la Vega, il contrabbassista Sergio Rivas. I brani sono molto articolati e di lunghezza importante e tra tutti mi colpisce Nuestros hijos, una pagina struggente che non ha una elaborazione tematica nel suo motivo principale ma reitera la sua cellula melodica generativa, con una tecnica che Berlioz ha chiamato idèe fixe e che ha vari esempi nel tango ma addirittura assurge a poetica nel dodecafonismo di Anton Webern. C’è un altro dettaglio lampante: la somiglianza neanche troppo dissimulata e quasi un ricalco, rispetto all’ideuzza fondativa di un tema che Piazzolla intitolato Mumuki, il soprannome con cui Astor chiamava l’ultima moglie Laura Escalada. Smagnetizzato dal calamitante Piazzolla, Mederos si affeziona a due formazioni tradizionali che hanno conquistato una stabilità sotto la sua guida in questo millennio. La prima è una vera e propria orquesta tipica formata nel 2003 con musicisti molto giovani che sono stati selezionati uno ad uno. A questo proposito è vivamente consigliabile, anche attraverso il canale you tube, la visione del film El Ultimo bandoneon girato, tra realtà e finzione, da Alejandro Saderman proprio nel peeriodo in cui si stava costituendo l’orchestra. La storia ruota intorno alla figura di una giovane bandoneonista che ogni giorno suona su un colectivo per racimolare i pochi soldi che le servono a sopravvivere. Dalla sua c’è però la tenacia e la volontà. Saputo delle audizioni organizzate da Mederos, si presenta timida e malinconica insieme al suo strumento pieno di problemi irrisolvibili, nella meccanica usurata, nel fueye che sfiata, nella tastiera anch’essa compromessa. Mederos l’ascolta con paziente tenerezza tenendo viva la possibilità di inserirla nella formazione ma consigliando di acquistare un bandoneon nuovo, perché sarebbe inutile accanirsi nella speranza di sistemare il suo. Purtroppo i soldi non ci sono ma Mederos si è intenerito, percependo l’importanza che ha per lei quella speranza di essere scelta, ed in ogni caso convinto che la ragazza è tecnicamente all’altezza. Così, Rodolfo ricambia il gesto che lo aveva salvato, quando Piazzolla gli prestò il suo bandoneon. La ragazza per tutto il tempo che sarà necessario suonerà su quello stesso strumento che fu di Piazzolla e che Mederos gli mette a disposizione. Questa storia melanconica ha il lieto fine, un bandoneon usato ma decente e trovato ad un prezzo accessibile le consentirà di debuttare nella fila dell’orchestra nascente, un’orchestra che è attiva tutt’ora e che ha registrato due eccellenti cd come del resto la seconda formazione che Mederos sta guidando da anni, un trio con l’organico snello che ha sperimentato Rovira. A differenza di quest’ultimo, la chitarra torna ad essere acustica come accade in un altro valoroso trio analogo e contemporaneo anch’esso, il trio Esquina guidato da Cesar Stroscio. Con Mederos la chitarra è suonata da Armando de la Vega, mentre il terzo strumento è il contrabbasso di Sergio Rivas. Per chiudere una questione aperta nella scorsa puntata in cui abbiamo incontrato Mederos al fianco dei poeti che ruotavano intorno alla rivista El barrilete, voglio ricordare che il trio ha partecipato nel 2011 al recital concerto intitolato Del Amor, insieme al poeta di Villa Crespo Juan Gelman che è stato uno dei protagonisti della stagione della militanza poetica e politica, nell’area guevarista della formazione di sinistra Fuerzas Armadas Rivolucionarias. Naturalmente questa posizione scomodissima gli è costata l’esilio trascorso tra Roma e Parigi, con il peso di aver perso il figlio vent’enne e la nuora diciannovenne in cinta di sette mesi, prima sequestrati e reclusi al centro de detención Automotores Orletti, quindi fatti sparire, così come la loro figlioletta Macarena nata in carcere. La bimba di due mesi, come spesso è accaduto, ha potuto nascere solo per diventare oggetto di un’adozione da parte di qualcuno vicino alla dittatura. Finalmente dopo inesauste e rocambolesche ricerche, nel 1999, l’ormai signorina è stata rintracciata potendo ricongiungersi con il nonno poeta. In quello stesso anno il traditore che si è liberato e infine pentito, fa ancora una volta penitencia e registra La yumba. Un capolavoro che all’epoca della sua uscita dall’orchestra di Pugliese, sfinito da un modo di far musica reputato manierista che lo aveva precipitato nel soffocante limbo dell’insofferenza, immaginava come un frustrante ergastolo in forma di coazione a ripetere. In questa sfida l’arrangiamento non si svincola con chiarezza da quello originale, soffrendo per questo a causa di un organico ridotto a quintetto che avrebbe richiesto un intervento di orchestrazione più puntuale illuminata da riverberi personali. Così il tessuto musicale è, per così dire, a maglie larghe e non si tratta di una sottrazione equilibrata scaturita da una rimodulazione totale dell’arrangiamento in funzione dell’organico a disposizione. In questa versione La yumba resiste solo metaforicamente, come riflesso remoto di una luce lontana, procedendo come un treno di battute morte. Mi piace immaginare che con un omaggio articolato così timidamente, Mederos abbia voluto esprimere l’impossibilità di raggiungere l’anima di quel simulacro, in quanto orizzonte utopico di inattingibile purezza. Come se, paradossalmente, il suo amore ritrovato per il leggendario Pugliese fosse annidato in quell’arrangiamento sbagliato.
14 dicembre 2020
Tradimento, liberazione, pentimento
di Franco Finocchiaro
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