Se chiedessimo ai titani dell’investigazione, agli Holmes, agli Spade, ai Marlowe, come se la stia cavando nelle indagini il loro minimo collega Jean Fajean, probabilmente direbbero “insomma”. A dir il vero neanche sua madre sostiene che stia facendo un buon lavoro. Ma gli investigatori d’autore hanno il gioco facile, la loro è una vita agevolata da minestre preparate: delitti chiari, indizi ben disseminati, prove che s’incastrano, cattivi che confessano. Nel romanzaccio collettivo che sta fuori dai libri, invece, il crimine si nasconde nell’evidenza permanente, coincide punto per punto con la realtà. Anzi, il crimine è la realtà. Un’unica lingua pronuncia tutte le cose e parla tutti noi, fin dentro i nostri sogni. Ogni dettaglio è un indizio, ogni frantume dell’esistente è una briciola bianca di Hansel e Gretel che immancabilmente conduce allo smisurato e invisibile dominio del Capitale. Sono rimasti solo i Titani nel Ring a spartire la vita come un toupet da due soldi, il Male da una parte e il Bene dall’altra. E in mezzo l’arbitro, ovviamente corrotto. Ma quando spariscono i fondi pensione, non c’è bolero che possa mentire per calmare le acque. Così i Titani ingaggiano Jean Fajean, credulone come loro, onesto e povero come uno spaventapasseri. Fajean cerca alleati nei lavoratori del tango-show, molti dei quali si stanno organizzando per resistere alle soperchierie degli impresari. Se il wrestling è un’arte in decadenza che non incanta più neanche i bambini delle elementari, il tango, nel 2001, è un mercato in forte espansione, primo fattore d’ingresso in valuta pregiata. Non è affatto morto, come dicono i disfattisti, è solo la tomba che era chiusa male. Partono le indagini. Il dito bendato della Mummia sospetta di Goberti, reuccio della notte porteña, maneggione in proprio e per conto terzi. Manolo Sucher avverte Fajean che il gioco è più grande di così, un gioco pericoloso che arriva a toccare le alte sfere di Lombardoni. Intanto i fratelli Macchione distruggono pinacoteca e attaccapanni del detective. E Domingo Escarlatti, compadrito professionista, lo ragguaglia sullo sfruttamento della categoria. Ma parole tutti sono capaci di dirne, e pochi le avallano con la propria vita. Tra questi pochi c’è il Moplo, ex archivista, milonguero e fine teorico. Vive sotto copertura da quando ha spifferato i codici segreti della milonga al mondo che non lo è. Gli hanno chiuso la Quinta del Ñato e l’hanno costretto a volare nel nido del cuculo dell’Istituto Psico-Assistenziale José Tiburcio Borda. Il Moplo convoca Fajean al Bar Británico, in pieno San Telmo tanghizzato. Parla con inflessioni shakespeariane, le sue parole sono arcane, taglienti, oracolari. Sul più bello arrivano due infermieri che lo prelevano di peso. Hanno l’arroganza, l’impunità e il fiato guasto dei sequestratori che erano venti anni prima. Tenendo a bada Fajean con uno scioccastronzi, portano via Re Lear in ambulanza. Solo allora Fajean si accorge che lì fuori c’è un inquietante Falcon verde del '74 e che il Moplo gli ha infilato in tasca un quaderno nero pieno di nomi e di numeri. Dal quaderno spunta un foglietto con una poesia di Vittorio Sereni che al nostro investigatore suona come una predizione:

Altri poi vengono: altri, di altro tipo.
Con frange magari, con lenti spesse e cupe, magari,
di forte armatura - testa tutta testa
tutta tecnica - tutto il resto di plastica
dottorini di Oxford.

Ma quali dottorini di Oxford. Dottorini di Chicago, piuttosto. I Chicago boys di Milton Friedman, la trista scienza applicata al tutto.

Guarda invece il vecchio fighter sul quadrato
guardia sinistra o destra, vecchia volpe
abbagliata di città, come muove al massacro:
la sua eleganza, qualità
prettamente animale, tra le poche che l'uomo
può prestare alle cose,
la finta saputa a memoria
la danza in scioltezza che gli dura col fiato
purché resti dinamite da spendere
ma sapere che è a vuoto, che ogni volta la posta
non è già più sotto i colpi la stessa
e allora il gioco non ci riguarda più,
le città etichette di valigie, fiammelle di necropoli.

Mi ricordai le parole titaniche del Moplo. “Il tango s’inalvea in profondità, questo è ciò che importa, non i nostri greti di ciottoli.” Ma che cosa avrà voluto dire? C’era di che riflettere per un trimestre, ma io non avevo tutto questo tempo, non mi restava molta dinamite da spendere e i vecchi fighter contavano su di me. Mi rimisi il quaderno in tasca e telefonai a Ruben. Rispose la sua dolce metà. E non uso questa frazione a caso:
- Il Dislivello, buonasera.
- Buonasera Gladys, come stai? Mi dai con Schopenhauer per favore?
- Eccolo, marciando - La voce s’ingrossò di colpo, come regolata da un potenziometro - Ciao segugio. Quand’è che vieni ad assaggiare una delle nostre pericolose minestre?
- Speravo stasera. Sono al Británico, ma qui fuori c’è un Falcon verde che sembra che aspetti me.
- Del ’74? - Al potenziometro avevano dato un’altra giratina.
- Sì, un famigerato e tenebroso Falcon verde del ’74. Proprio lui, come una volta.
- Riesci a vedere chi c’è dentro?
- No, è buio, non sono Nembo Kid.
- Dov’è esattamente?
- Davanti al Torquato Tasso. Il Tango Bus ha scaricato un contingente di olandesi.
- Mando subito il carro attrezzi. Ora sentimi bene: aspetta dieci minuti, esci su Brasil, fatti vedere bene che sei tu. Accenditi una Parliament come un vero detective e cammina piano senza girarti. Vieni su verso la piazza e buttati dentro al Mercatone del Tango. Attraversalo tutto e vai fuori su Balcarce. Attento al canto delle sirene. Non firmare niente e soprattutto non prendere la lezione gratuita di milonguero, che ti rovinano lo stile.
- Non ti preoccupare, io il clic ce l’ho esterno - e appesi.
Dieci minuti fanno presto a passare quando hai qualcosa da leggere. Il quaderno del Moplo era pieno di nomi, numeri, indirizzi, percentuali, cifre in dollari, rubli, euro, yen. Un lavoro benfatto, si vedeva il metodo, il vecchio archivista. Quel quaderno scottava, lo nascosi nella biblioteca del Británico, uno scaffale di libri scritti lì, su quei tavolini ergonomici. Lo infilai tra gli eroi e le tombe di Ernesto Sabato.

Quando uscii dal bar, quei pivelli del Falcon accesero i fari. Che decadenza anche nei mestieri avversi. Per non confonderli mi accesi una plateale sigaretta e finsi di contemplare gratis il cielo sopra il Parco. Eccoli là i famosi astri, le remote costellazioni del tango, l’archeologia spaziale che inteneriva le suole alle generazioni. Dal secolo opposto intanto venne su il vento freddo degli operativi. Mi seguirono come corteggiatori per due cuadras. Prima di entrare al Mercatone, mi girai per gustarmi i ragazzi di Ruben in azione. Avevano bloccato il Falcon con un carrello sollevatore e in meno di un minuto l’avevano spogliato di tergicristalli, specchietti, paraurti, fanali, cerchioni e targhe. Articoli molto ricercati dal modernariato di Plaza Dorrego. Lo lasciarono come un meccano smontato, veloci come il pit-stop della Ferrari. Avrei riso sotto i baffi, se nel frattempo mi fossero spuntati. Ma il minuto di ricreazione era finito, varcai a piedi lo Stige della grande casa coloniale che ospitava il Mercatone. Nessun orrendo nocchiero pretese per il momento una moneta o un orecchino d’oro.

Dentro era un accumulo, una fricassea di luci, spazi, sentieri e corridoi tagliati, ponti saltati, merci in vetrina, lanterna magica e kermesse, il tango nella giostra dei mercati internazionali. I pochi turisti erano braccati dagli imbonitori e gettati a spintoni dentro i chioschi.
- Bién John! - gridava una docente - Don’t look your feet. Dale así nomás!
Poco distante, un pelato con le basette di feltro sosteneva con imparzialità il suo metodo d’improvvisazione davanti a una breve assise di stagisti:
- La postura di non aver bisogno di sapere con esattezza quello che si deve fare, si presenta quando mancano le forme coreografiche potenziali rigide come manifestazione concreta, fondamento necessario affinché appaia tutta la dinamica di questa attività improvvisata. Non guardatemi così. Trovate tutto nel mio libro, c’è un tutorial con gli schemi e i piedini disegnati. Il principio che si dà a partire dalla genesi di questa disciplina agisce come modulatore la cui essenza è la libertà come progetto da perseguire mediante il “come” e non mediante il “cosa”. Purtroppo questa prodigiosa maniera di pensare la danza risulta impossibile per molte persone, perlomeno come coscienza dell’azione danzistica. Ma a tutto c’è rimedio. Nel mio libro per esempio ci sono gli strumenti per l’esecuzione della danza secondo le musiche circostanziali...
Nel chiosco del tango milonguero® una signora bionda in pantaloni elasticizzati e pelliccia lunga fino ai piedi, spiegava a un capannello di americani che
- L’accumulazione di passi non migliora la qualità del ballo, al contrario, produce una psicosi da nuovo ricco. New rich, you understand? - disse sistemandosi il visone che forse si sentiva osservato - Cerchiamo la pietra filosofale, la chiave segreta, la pepita d’oro, ma così facendo ci allontaniamo da noi stessi. Il tango, come mondo, sta dentro di noi, nel clic interno.The inner clic, you know. Il tango milonguero® è una fonte inesauribile di piacere. Scambiare questo piacere per l’eccitazione dei passi, many steps, è come rinunciare a fare l’amore per un’interessante partita di ping-pong. We make love! Milonguero is a big fuck, a big fart! You understand?

Un’azienda che proponeva arredi per il teatro danza mi chiese: cosa sarebbe Pina Bausch senza le sedie Thonet? Non chiederlo a me, sorella. Affrettai il passo verso l’uscita, dove c’era un tizio dallo sguardo di vetro che teneva un seminario su “Il giro per dummies:
- Eravamo io, lui e un altro, tutti i pomeriggi analizzando il giro, a contare quante maniere c’erano per entrare in giro. Tutto il pomeriggio lì. Ti rendi conto che ne abbiamo contate trentasette? Trentasette, ti rendi conto? Cioè ce n’erano trentasei, ma poi ne abbiamo aggiunta una nuova, questa qua, che sarebbe la trentasette, ti rendi conto? Cioè, tu non immagini, questa è una roba nuova, la trentasette.
- Vous êtes un félin, un felin - commentava il suo discepolo francese.
Maledizione. Il cancello su Balcarce era chiuso a chiave. Avranno voluto impedire le vie di fuga. Mi toccò tornare indietro, ripassando dal felino:
- Quando siamo arrivati a contarne trentadue, abbiamo detto: basta, adesso non ce ne sono più. Ma poi abbiamo pensato a Lavandina, a Petróleo, trentatré, trentaquattro, poi altri due, trentasei. Ti rendi conto?
- Il tango milonguero® ha un padrone ritmico, big boss you know? Le varianti però lo rovinano, così come le rose sono belle da guardare, ma non le mangiamo, no? Almeno io non le mangio. I don’t eat the rose. Ni en pedo!
- Però quelli che ballano con le figure, il nodo centrale è possedere il tango. E ci provano prima con la cattura, poi con la riproduzione dei distinti elementi di carattere coreografico che hanno appreso anteriormente al fatto danzistico in sé. A pagina 520 del mio libro trovate lo schema dei piedi...
- Bién John! Don’t look your feet. Dale así nomá!
Come sospettavo, all’uscita c’era la fregatura. L’entrata era gratis, ma per uscire dovevi mostrare uno scontrino d’acquisto. Mi girai ad ascoltare un elegantone che vendeva la sua Guida Sentimentale:
- Signore e Signori! Il volumetto che ora testé andiamo a presentare non sono UNO ma sono DUE. Qui dentro c’è tutto il tango del passato per il vostro domani odierno! Come voi stessi potete già osservare, il formato è portatile, la carta indistruttibile e i contenuti ignifughi, impermeabili, riverniciabili a volontà! Contenuti così aquilini che non se li sognano neanche qui a Buenos Aires, figuratevi all’estero. C’è più poesia qui che nei cestoni dell’Autogrill. L’autore è uno che faceva l’autostop a Indianapolis. C’è da credergli a occhi chiusi. Guardate l’edizione! L’edizione è De Luxe, di un lusso irresponsabile, che non pensa al futuro dei suoi figli. Qui non si bada a spese. I volumi sono rilegati in brossura, stanno bene sui vostri Billy e non fanno sfigurare il Lack su cui li avrete astutamente esposti all’ammirazione dei transeunti! Il prezzo che sto per dirvi nella vostra orecchia, non ci crederete, è un affarone! Anzi, un doppio affarone! Per chi li vuole tutti e due l’affarone è quadruplo! Ecco una copia al signore laggiù in fondo. Grazie a lei, lasciami i soldi sul comò.
Comprai un volumetto con la copertina nera e me la filai come inseguito da un’ambulanza. Che invece mi aspettava lì fuori, con i due infermieri sequestratori.
- Eccolo qui lo scemo all’acquerello! Vedi di salire senza fare del cinema, se no ti do una scarica col telepass - mi sibilò in faccia quello più grosso. Aveva il fiato di un morto da tre giorni.
- Ma perché non mastichi una mentina, figliolo? Migliorerebbe l’aspettativa di vita della cittadinanza.
L’altro infermiere mi spinse verso il portellone posteriore:
- Fajean, non è facile trovare un coglione come te! Fa il bravo e salta su.
Dentro l’ambulanza c’era il Moplo. Gli avevano messo la camicia di forza e la mordacchia.\ - Abbiamo dovuto imbavagliarlo, non ne potevamo più dei suoi pipponi.
- E questo lo prendo io - disse Tomba Etrusca, strappandomi di mano il recente acquisto editoriale.
- Ma non l’ho ancora letto! - obiettai.
- Questo quaderno non è tuo, Fajean. Se lo leggi, la tua aspettativa di vita finisce oggi.
- Sentite ragazzi, io vengo con voi, ma non fatemi ascoltare Varela perché se no scateno l’infermo - e indicai il Moplo.
- Puoi mettere quel cazzo che vuoi, Fajean. I bei tempi degli operativi notturni noi li custodiamo nel nostro cuoricino romantico.
Ci allontanammo a sirena spenta in direzione centro. Passando davanti al Dislivello, vidi Ruben con un vassoio di bistecche grande come un velodromo.
Accesi la radio e cercai un tango all’altezza della situazione e lo trovai.
- Ecco qua, Osvaldo Pugliese! Questo non siete riusciti a piegarlo, eh? Lasciate che vi dica una cosa di un altro grande Osvaldo. Il giorno della rivoluzione, mi dovrete lavare le mutande prima di essere messi al muro.
E un terzo Osvaldo attaccò al bandoneón l’inno che aveva scritto per noi, i suoi compagni.