Il punteggio di Amburgo è importantissimo, scrive Viktor Sklovskij nel 1928, perché tutti gli incontri di lotta sono truccati. Gli atleti obbediscono agli ordini degli impresari e accettano di farsi mettere con le spalle a terra anche da avversari che altrimenti schiaccerebbero come lattine. Ma una volta all’anno si riuniscono ad Amburgo, in una particolare osteria, e lottano tra loro a porte chiuse, con le tende tirate. Lottano a lungo, con ostinazione, con sincerità. Il punteggio serve a stabilire la classe reale di ciascun lottatore e ad evitare il discredito nella categoria. Per non essere da meno, anche le altre arti hanno una loro Amburgo segreta, anche il tango. Nell’Amburgo del tango, tanto per fare un esempio, Varela e Goberti non esistono. Non si avvicinano neppure alla città. I fratelli Macchione vanno al tappeto così spesso che noleggiano le suole delle scarpe agli sponsor. Il celebre Garabito, peso massimo a Broadway, non è che un peso mosca, e la somiglianza non finisce lì. Per molti anni, stando a quello che il Moplo dice all’investigatore Jean Fajean, l’Amburgo del tango è stata la milonga, specie in ultima ora. Era alla milonga, ricorda il Moplo, quando ballavamo tra pari, a porte chiuse e a tende tirate, che noi milongueros inventavamo, creavamo, verificavamo le nuove forme. Difendevamo la tradizione soprattutto attaccandola e l’attaccavamo difendendola a morte. Sempre di lotta, in fondo, si trattava. Questi creatori si sentivano in qualche modo responsabili dei destini comuni, dei pubblici fati del tango, come dice Juan Leopardi. Nessuna verità, se non quella che erano in grado di colmare e rendere commensurabile ai circostanti trapelava dalle pareti di quell’ateneo anseatico. Ma il tempo cuoce gli elefanti in un pentolino e i due reami di fiaba, il tango e il wrestling, sono stati progressivamente usurpati dagli astuti gnomi dell’economia, detta appunto la trista scienza. I Titani nel Ring, dopo mezzo secolo di pacche, morti e resurrezioni vere o simulate, vengono persino derubati dei fondi previdenziali da un faccendiere della Calle Corrientes. Poteva mai immaginare il grande Martín Karadagián, trionfatore ad Amburgo contro Aimable De La Calmette, contro Giovanni XXIII, contro Ghost Town, che i suoi lottatori si sarebbero trovati un giorno senza i soldi per comprare un trenino ai nipotini? E poteva mai immaginare il nobile tango, il sogno millenario del corpo glorioso, di ritrovarsi gentrificato e alla mercé di un ministro che sogna di trasformarlo in Rapallo? Insomma: sono colossali forze storiche quelle che la notte del 5 aprile 2001 fanno convergere a bordo di un’ambulanza del Borda una troupe di vecchi Titani capeggiati dalla Mummia, un milonguero in là con gli anni e col comprendonio, due disc-jockey manicomiali sotto forma di onde radio e un peso piuma dell’indagine. Sono costoro soltanto dei fantasmi del passato o sono gli agenti di una riscossa? È uno show down di terribilità che li aspetta o il patto disonorevole con Lombardoni? È un orgoglioso epilogo a smerdatutto o la resa incondizionata all’onnipotente mercato? Apparentemente tutto è contro di loro, il principio di realtà, il buon senso, la ragione pura, la ragione dialettica, la ragione trascendentale, il diritto pubblico, il diritto privato, le parentele, la colleganza. Però Jean Fajean ha un piano. Se non funzionerà ne ha un altro uguale identico. Si mette al volante dell’ambulanza e parte a sirene spente, con la lentezza di un requiem. Nessuno gli chiede dove andiamo. La risposta è nello sguardo di quegli intrepidi, nel loro destino che sta per compiersi:
- Si va ad Amburgo, ragazzi!

- Non mobilita le masse, lo stile!
Ovviamente il primo a parlare fu il Moplo. Tre ore di mordacchia l’avevano mantenuto in ebollizione, ad acqua fremente. La sua voce si era come ricacciata all’indietro, nel sussurro, nel flusso di coscienza, respinta al mittente che nel suo caso era il delirio. L’ambulanza intanto scivolava per le strade della funerea City come una chiatta nei canali d’Olanda.
- Non sembri questa una svenevolezza alla Arbasino, ma il tango-show si fa sempre riconoscere. Come un ciliegio o una pecora che nessuno applaudirebbe in un orto o sul cassone di un Apecar, ma che vengono vastamente acclamati una volta trapiantati tali e quali in palcoscenico, anche il tango-show punta al mediocre conforto del riconoscimento, al farsi ravvisare per tale e quale a quella certa danza che è autentica per convenzione e custodita chissà dove.
- Io lo so dove siamo custoditi io e te - disse un Titano in borghese - E so anche che fra un minuto ti rimetto la museruola.
- Le luci, i costumi, la bigiotteria, la gestualità, gli ammiccamenti, costituiscono lo sgargiante armamentario con cui il tango-show cerca di salvare le apparenze e, nello stesso tempo, di alludere al suo garante popolare, senza il quale non esisterebbe.
- Senti Moplo - dissi voltandomi verso il cenacolo posteriore - anche nell’epoca d’oro a ballare male eravate bravi in tanti.
- Sì, ma oggi non avere talento non basta più. Chi non ha niente da dire, lo va a dire in palcoscenico. Il tango-show è un povero disgraziato che simula le smancerie del ricco. Ha sempre paura che traspaia il villano rifatto e che dentro le sue scarpe di vernice si percepiscano i piedi sporchi. Esagero? Non credo.
Fermai l’ambulanza all’incrocio tra il Bajo e Brasil, per non dover poi fare il giro della manzana, quasi davanti ai pinnacoli blu della moschea e annunciai ai miei passeggeri:
- Vado a recuperare il quaderno nero - ma il Moplo accaparrava ancora l’uditorio. L’attenzione era spasmodica.
- E’ solo glamour grottesco. Non c’è nessuna relazione di temperatura, nessuna tensione dialettica tra pista e scena, tra vita e tango. Solo l’asservimento ipocrita alle esigenze del business, il furto con poca destrezza del calco, dell’imitazione, della parodia sorridente, del falsetto. Ad attirare il pubblico rintronato dalla televisione sono soprattutto i piedi sporchi.
Il quaderno nero era ancora là dove l’avevo messo, nella biblioteca del Bar Británico. Mi bastò spostare gli eroi dalle tombe di Ernesto Sabato per ritrovarlo sano e salvo, pieno di nomi e di numeri. Quando ritornai all’ambulanza, il Moplo era stato messo a tacere e la radio tuonava:
- Forte di più torrenti, un torrente unico scroscia e moltiplicato sbuca dai precipizi. Ora è un fiume. E si slancia in un arco possente, e si piega e mugge e schiuma. Buio pesto sui nemici! A che serve opporsi agli eroi, ai valorosi? Questo tango è per voi, Titani! Si chiama Emacipación, un inno all’emancipazione delle classi! Lottiamo beati con Osvaldo Pugliese! E con Radio Colifata!
- Sì Locatelli. Remotissimi baleni e altissime stelle cadenti puoi vederne ogni notte d’estate, ma baleni nel fitto dei rovi, negli intrighi della pista, sui quadrati striati di sangue e di sputi, vederli non è così facile. Una notte di grandguignol si prospetta al Mister Tango. E noi saremo lì, a raccontarvela e forse a scamparla bella!
Ma per adesso navigavamo beati tra le case colorate della Boca, perché colorate sono sempre le case dei marinai, così si vedono da lontano, dal largo, fazzoletti che sventolano da una veranda celeste o prugna, da un balcone di rose, di violette o di ramarri. Poi i marciapiedi si fecero alti come gli argini da inondazione, segno che il sistema venoso stava per sfociare nell’arteria di Montes de Oja. Qui camminavano i fantasmi di Arolas e di Roccatagliata, gli Dei barbarici e illimitati della Guardia Vieja. E poi giù verso Barracas, ancora più giù verso il Sud mitologico di chitarre e di pugnali. Il Mister Tango stava là, sgraziato come un hangar e agghindato di luci al laser e bistecche. Ecco il Kentucky Fried Tango di Goberti, la cui sagoma incastonata nel timpano sovrastava il red carpet. Vedendo l’ora tarda che si era fatta a mia insaputa, guardai la Mummia.
- Siamo in perfetto orario - mi lesse nel pensiero - Adesso ci chiudiamo dentro e risolviamo la questione a modo nostro.
I Titani si erano messi in costumi che sapevano di naftalina. Le cuciture scoppiavano. E non erano i muscoli a gonfiare la stoffa. Saltarono giù dall’ambulanza uno alla volta, come i paracadutisti nei film: Hippie Jimmy, il Vaquero Smith, Ciccio Catanzaro, Fantasman, Golgota, Espartaco, Mercenario Joe, e per ultimi il Vasto Pucelli e La Mummia. I suoi bendaggi erano candidi di perborato e profumavano di Marsiglia: quello sì che era professionismo! Radio Colifata trasmetteva a tutta randa:
- Ormai chi li frena? L’onda è potente, scorre e trascina. A un impeto e una furia così grandi anch’io rabbrividisco. Come in tutte le feste del diavolo, è l’odio di parte che renderà alla fine i più splendidi effetti, i supremi spaventi. Di qua e di là, urla acute o secche, l’hangar trema d’orrore! A te la linea, Bobby.
- Fuochi fatui dappertutto, lampi che accecano. Tutto questo è già mirabile. Con bracciali e con schinieri, da guelfi o ghibellini, dalle loro carrozze d’acciaio ecco che scendono i cavalieri del tango-show!
Le limousine bianche si alternavano davanti all’ingresso del Mister Tango per scaricare i loro carichi prestigiosi, le stelle condottiere di Tango Argentino, Tangomania, Tango Pasión, Forever Tango. Tango per due, per tre, per quattro.
L’Olimpo del tango era convenuto lì, nella notte che ne avrebbe stabilito la vera graduatoria.
- Come hai fatto, Mummia? - chiesi al mio cliente. Sotto le bende mi parve di cogliere il suo sorriso da Ernest Borgnine.
- Ha orchestrato tutto William Boo, l’arbitro corrotto. Ha il tradimento nel sangue, un doppiogiochista nato, non sa nemmeno lui da che parte sta. E di certo non lo sa Goberti - rispose il gladiatore in fasce.
- Ma guarda - dissi - Quando l’ho visto al Molino, pensavo fosse lui ad averci tradito. È da stamattina che i cattivi indovinano tutte le mie mosse.
La Mummia sorrise ancora. Due volte in una stessa sera era il suo record:
- Se ti mancasse la parola, Fajean, saresti un bravo parafulmine.
- Aspetta un minuto, Mummia. Io stasera vi ridò la pensione.
- Guardali là, Fajean - e indicò il portone - Saranno loro a venderci prima che canti il fatidico gallo della Bibbia.
Da una limousine con il logo aziendale di Goberti erano scesi Sucher e Shock Bicouz, i sindacalisti dell’AsMaCoBaTa. Le loro valigette vuote non promettevano nulla di buono.
- Ora io devo andare, amico mio. Noi Titani abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo. Preferiamo perdere alle nostre condizioni che vincere alle loro! Andiamo ragazzi, ci attende l’epico finale. L’ultimo gong incombe sui giusti e sugli iniqui.
I Titani camminarono lentamente verso il Mister Tango, aprendosi a raggiera come il Mucchio Selvaggio. Mancavano solo Las Golondrinas e il coro messicano.
- Qui dentro è già una Babilonia infernale, Locatelli! Una valle di fosfati da giudizio universale, una Cappella Sistina rasoterra. L’eterno duello tra il Bene e il Male. Puoi già sentire botte cavalleresche come al dolcissimo tempo che fu.
- GRRRR - un grugnito familiare mi distrasse dalla radiocronaca. Era il Moplo, naturalmente. Ormai camicia di forza e mordacchia erano diventati il suo outfit fisso. Il minore dei fratelli Macchione lo stava trascinando fuori dall’ambulanza. Alzai la guardia e l’affrontai:
- Hey Ridolini, sei venuto per la rivincita? - m’informai.
Il ragazzone avanzò molleggiandosi sui piedi e fintò di sinistro: che babbeo.
- Soccombi sempliciotto! - e gli allungai il mio jab devastatore.
Solo che quella non era una finta. Il suo sinistro mi centrò in pieno. La testa mi si torse come a un gufo e mi beccai una gragnola di colpi al bersaglio grosso. Poi un gancio all’orecchio mi fece sentire i campanelli. Caricai il mio diretto ferroviario e stavo per stamparglielo tra gli occhi quando qualcosa di marmo mi scaraventò il mento all’indietro. Allargai le braccia ad angelo e annaspai nell’aria come le coreografie di Carolyn Carlson. La forza di gravità mi giocò un brutto tiro e buonanotte ai suonatori.
Quando mi risvegliai ero nell’ufficio di Goberti. Mi avevano legato le mani dietro alla schiena. Una parete di vetro permetteva di dominare il locale sottostante. Niente doveva sfuggire al padrone del vapore. La voce di Tj Locatelli la sentivo ovattata:
- I Martiri del Ritmo sono una macchina di fuoco, una fonderia inarrestabile di tanghi zincati, metallurgici, placcati. Este es el Rey, proclamano, e Ciccio Catanzaro è qui per dimostrarlo: una, due, tre, quattro, cinque sacadas atrás consecutive! Il passo segreto! Seria ipoteca sul titolo!
Goberti spense la radio e mi guardò con disprezzo. Ero seduto nell’angolo del suo mausoleo personale, tra foto presidenziali, dischi d’oro, copertine e recensioni incorniciate. La più grande era di Tangolandia: “Goberti canta ogni giorno peggio. E oggi ha cantato come domani”, diceva il titolo.
- Sì, mi piace ricordare le ultime parole di uno stronzo - si vantò - Quali saranno le tue ultime parole, Fajean? Pensaci in fretta, perché stai per dirle.
Indossava uno smoking bianco da campagnolo su una camicia collo palomita, papillon mélange, pochette che faceva gioco e scarpe da golfista. In tempi migliori, sarebbe bastato il gusto, per escluderlo dal consesso civile. Si avvicinò alla parete trasparente, con le mani in tasca. Per gemelli aveva dei dadi, come Scarface.
- Guardali là, nella loro Amburgo di paccottiglia! Ma voi siete miei, capito? Vi cambio quando voglio, siete intercambiabili, come i fusibili.
- Dov’è il Moplo? - chiesi
- Dov’è il quaderno nero? - chiese lui.
- Dov’è Lombardoni? - chiesi ancora io.
- Bravo, rispondi sempre con una domanda. Le risposte sono domande senza palle. Ti piace il mio locale, detective? Una media di 400 coperti al giorno. Ora ne apro uno da 1200 a Puerto Madero.
- Se Lombardoni ti dà il permesso - puntualizzai.
Goberti sospirò come uscendo da un’apnea. Riaccese la radio al momento giusto:
- Non c’è niente di meglio di un tango di Varela per cacciare indietro il progresso. Interpreti magnifici del suo risucchio siderale sono El Pajuerano e Lady Macbeth. Il tango riportato al suo antico squallore! Ma ecco che dal lampadario la Mummia si lancia sui due malcapitati. Lo schianto è fragoroso. Nessuno dei tre si rialza. Entrano le barelle, il silenzio è tombale. La destinazione pure. Lasciano insieme il mondo del respiro.
Goberti emise un gemito di soddisfazione:
- Il tango per resistere ha dovuto diventare un’industria, come il wrestling, e un marchio di fabbrica, come quei coglioni dei Titani. Volevi vedere dov’è Lombardoni? È là, nel privé. Si è appena comprato le milonghe con tutti i milongueros dentro - mi indicò un recinto di vetro dalla parte opposta del locale, dove Sucher e Shock Bicouz stavano chiudendo le loro valigette. Anche a distanza mi davano il voltastomaco.
- Non tutti i milongueros sono in vendita - disse entrando La Mummia con un’inflessione che conoscevo bene. Dalle bende penzolavano le ciocche della camicia di forza.
- Ma non eri appena morto? - obiettò giustamente Goberti.
- Sono gli scemi che muoiono, eterno è il wrestling e anche il tango, se è per questo. Volevi il quaderno nero di Lombardoni? Eccolo qui. Libera quest’uomo e dacci indietro i nostri fondi pensione! - disse La Mummia 2 sventolando da lontano la mia Guida Sentimentale al Tango. Ormai la copertina era tutta rovinata.
- Fammi un po’ vedere - disse Goberti.
- Fermo lì, se non vuoi che le tue palle cambino di location! - e mi fece l’occhiolino.
Goberti tirò fuori dal cassetto un coltello, fece scattare la lama e colpì furiosamente un cuscino del divano. La stanza si riempì di piume.
- Facevi prima ad ammazzare l’arredatore - osservai.
Furbo quel Goberti! Nel cuscino aveva nascosto le cedole dei fondi pensione.
- Ecco qua, Mummia del cazzo! Dammi il quaderno, alla una, alla due, alla tre.
A scambio effettuato, Goberti ci mise un secondo a capire che il Moplo l’aveva fregato. Si girò di colpo e con rabbia gli piantò il coltello nella pancia.
- Le virtù, le nostre virtù ci sono imposte dai vostri osceni crimini - rantolò il milonguero, categorico fino all’ultimo respiro.
Goberti ripulì tranquillamente la sua lama nelle bende del mummificato:
- Ma quali virtù? Senti qua - e alzò il volume della radio.
- Il Croupier ammanta di casinò Evaristo Carriego. Non gli bastava fraintenderlo a pedate. Horacio Nelson annusa tra le gambe la sua compagna ribaltata. Gades vestito da mago trascina Nives con una fune. Un’aria concretamente provinciale si è impadronita della calle Honduras. Appaiono i nanetti da giardino, i pigiamoni di jersey, il catalogo Postal Market: Gilera balla con la madre esemplare dei suoi figli. Un tracagnotto, anche lui, ma con un piede a penzoloni. Il pathos si taglia con una sega. Con una sega di sinistro!
- Per te finisce qua, Goberti - disse La Mummia entrando nella stanza.
- Eh no, adesso basta. Dove siamo? Al museo egizio?
- Portateli dentro ragazzi!
Lombardoni, Sucher e Shock Bicouz furono spinti dentro dai Titani. Il Vasto Pucelli teneva i due sindacalisti per le orecchie, come birichini colti sul fatto. Il ministro aveva la guancia gonfia di Dizzy Gillespie. Nessuno poteva toccare Jorge Vidal senza pagarne le conseguenze. Fantasman mi liberò i polsi, mentre Espartaco toglieva il cappuccio al Moplo.
- Povero Moplo, non lo sentiremo più tuonare dall’alto dei suoi bastioni dogmatici, come il cannone di una città assediata. - lo commemorò.
- E allora chi era la Mummia 1? - chiesi alla troupe.
- Non ci crederai: era William Boo. Sai cosa ha detto prima di morire? Tutti credevate che io ero Gereb. Invece no, io ero Nemecsek. Ho dato la vita per voi, compagni miei, come nei ragazzi della Via Pal.
Un groppo strinse la gola di tutti noi, ma questo non mi impedì di portare a termine il mio incarico.
- Fa il bravo Goberti e dammi quelle cedole - gli intimai.
Ma Goberti veloce come un voltafaccia si lanciò su di me col coltello ancora fumante. Non feci in tempo ad annientarlo con il karatè che La Mummia lo travolse come un quarterback. Insieme sfondarono la finestra, precipitarono giù in sala, un volo di cinque metri, e atterrarono sullo Steinway gran coda. Un cluster così, nemmeno Kagel se lo poteva immaginare. Goberti perì sul colpo, la Mummia fece in tempo a girarsi e ad alzare per un’ultima volta il pugno in segno di vittoria. Sui ring terrestri nessuno era mai riuscito a sconfiggerlo.
Lombardoni, da politico furbo qual era, riprese subito il controllo della situazione.
- Mi spiace per le mummie, ma i pezzi si sono messi a posto da soli. I Titani hanno la loro pensione, l’AsMaCoBaTa diventa padrona del Mister Tango e ha un contratto di ferro con me. Il tango è in mani migliori, ora. La parcella del detective la facciamo pagare al Governo, eh Fajean? Un giorno solo di lavoro, senza spese, cosa potrà mai essere?
Mi avvicinai lentamente, pregustando il momento. Caricai il mio diretto e glielo esplosi in faccia come per piantare l’ultimo chiodo di una ferrovia di diecimila chilometri. Nessuno mi impedì di uscire e di tornarmene a casa in ambulanza.

Radio Colifata, era in memoria. Tj Locatelli, pronto sul pezzo:
- Con quanta premurosa insistenza l'autore avverte qui gli astanti che ciò che hanno visto e hanno sentito è mero inganno e artificio, cifra degli eventi reali che sono accaduti qui, là, oltremare, sotto i cieli rovesci del Rio De La Plata; o, meglio, nel teatro del loro pensiero. E con quanta gelosia mantiene calato il sipario invisibile che difende il suo breve territorio. Egli intende d'esserne lasciato padrone incontrastato, libero di crearvi un nuovo universo a suo talento, retto da ordini propri, col suo destino particolare, con i mari, le terre, gli astri occorrenti, e con i suoi abitanti.