Martha Argerich nel 2011 decide di preparare un recital di Tango con l’orchestra sinfonica da presentare nel festival stellare che la pianista organizza annualmente sul lago di Lugano. E chi poteva convocare al bandoneon in un’occasione estemporanea del genere dove le prove sono pochissime, perché i ritmi festivalieri sono serrati e ogni sera bisogna proporre un programma diverso, con direttori diversi, solisti diversi? Senza dubbio Nestor Marconi, professionista infallibile e abituato a veleggiare sopra qualsiasi orchestra sinfonica agli ordini di chiunque le diriga. In questo prestarsi a situazioni pericolosissime per un musicista di origini popolari, Marconi non ha nessun problema tecnico e non se ne fa nessuno di carattere estetico nel suonare con chi non ha la ben che minima idea di cosa sia il linguaggio del tango. Un esempio lampante è la sua partecipazione ad un’iniziativa discografica e concertistica dove ha affiancato una étoile del flamenco come El Cigala, in un repertorio tanguero risultato giocoforza vocalmente aflamencado…non so se questo termine esiste e se mai lo facciamo nascere adesso perché rende l’idea. Tutto questo preambolo per inquadrare il Marconi tra le ombre e le luci della routine di chi sceglie l’attività di free lance, dove alcune delle regole d’oro sono: essere all’altezza della situazione provando poco o niente e suonare indifferentemente qualsiasi cosa col sorriso sulle labbra. In cambio incassare cachet molto più sostanziosi che con i propri gruppi dove magari la proposta non è commerciale al punto da attirare il grande pubblico. Lo show businness richiede la performance d’eccezione e l’accantonamento delle ambizioni che non sono funzionali al suo sistema. L’incanutito lupo di palcoscenico ha saputo ammiccare sposando queste prospettive, con il risultato di ridimensionare i sogni coltivati durante la sua lunga febbre di ricerca, per posizionarsi in un quadro più convenzionale. Fermo restante l’alto livello del suo lavoro, da questa resa alle leggi di mercato giungono però occasioni importanti come turnèe in Giappone con oltre cinquanta repliche in tre anni dello spettacolo Tanguisimo nobilitato dalla presenza di Roberto Goyeneche e Nelly Vazquez ma, dove non possono mancare gli arrangiamenti di La cumparsita e di Canaro en Paris, realizzati con molta prudenza. Tra i vari titoli pubblicati in quell’occasione sul cd Japon 91, c’è un tema di Marconi intitolato Tiempo cumplido dove è palese la svolta compositiva ed espressiva del bandoneonista. Non più creazioni estreme ma più concernenti il postmoderno, alias l’elogio dello spazio e non de tempo. Mi spiego meglio: la modernità nell’arte novecentesca avanzava nel tempo con spirito illuminista, facendo tabula rasa di convenzioni, stili, mode, avanguardie del passato anche recente; la postmodernità, teorizzando la crisi e il tramonto del capitalismo già dalla fine degli anni settanta con Lyotard, sul versante delle arti inaugura il citazionismo quindi uno spazio dove tutto è presente e utilizzabile in montaggi estetici che testimoniano l’impossibilità del progresso al di fuori dell’impronta tecnologica. Questo nel tango contemporaneo che non si schiaccia sulla dimensione commerciale, significa utilizzare tutta l’eredità del linguaggio del tango in una sintesi dove elementi d’avanguardia si mescolano a strutture arcaiche, fino allo sconfinamento in un métissage che include oggetti sonori fino ad ora estranei al genere: ce ne sono di validi come certe influenze jazzistiche e di meno valide come il maldestro tentativo di trasformare il tango, azzerandone la poetica per dare luogo ad una musica dance sdolcinata e pateticamente provinciale. Marconi quindi non prosegue in un progetto di ricerca ma entra a far parte del milieu contemporaneo facendo un passo indietro per produrre una musica dove riconosciamo una sintesi personale della storia del tango. Un esempio lampante nel tema Tiempo cumplido a cui accennavo, è nella sua variazione di bandoneon dove non ci saremmo mai aspettati di riconoscere lo stile troileano di un solo fraseado e quindi molto lirico. Il tempo della mano svelta si è compiuto e un secondo Marconi appare dall’estremo orizzonte di quell’incisione orientale. Ma anche per lui, i progetti meno commerciali che mantiene tutt’ora in vita, procedono con un certo affanno, seppur il suo nome sia accreditato di una stima pienamente riconosciuta nel tango, anche se non aureolata come quella di certi capiscuola. Uno di questi ensemble stabili è un trio, con lo stesso organico del Vanguatrio degli anni’70 ma con il contrabbassista Oscar Giunta, suo compagno con il Nuevo Quinteto Real e con Leonardo Marconi al pianoforte….suo figlio nato nel 1973, quando Nestor era nel cuore di quelle inquietudini cervellotiche che la maturità ha via via placato, favorendo una vigorosa potatura e di conseguenza il raggiungimento dell’equilibrio essenziale che oggi gli riconosciamo. Negli ultimi anni Nestor ha ripreso anche il suo quinteto con giovani fuoriclasse come il chitarrista Esteban Falabella, il contrabbassista più in auge a Buenos Aires, Juan Pablo Navarro, e due figli d’arte: evidentemente il figlio Leonardo al pianoforte e Pablo Agri, violinista anch’egli come il padre Antonio che abbiamo ascoltato nella scorsa puntata insieme a Francini del septimino di Marconi del ’76. Con questo gruppo l’attività non è internazionale come quella di orchestre che continuano a far ascoltare cover di La Cumparsita e Canaro en Paris per il visibilio dei giapponesi o delle giovani formazioni che si imbarcano nel grand tour al contrario, suonando nelle milongas europee e asiatiche. Bisogna andarselo a cercare durante il gran tour nel tango a Buenos Aires, questa volta la destinazione è quella giusta a patto di uscire dal circuito turistico offerto a Buenos Aires. Per esempio il quinteto di Marconi di quando in quando si può ascoltare al Cafè Vinilo, uno dei locali più vivaci per la musica dal vivo nel barrio di Palermo. Cento spettatori sono ospitati in una sala gradevole dove si può mangiare una picada sorseggiando un Malbec dignitoso e soprattutto ascoltando perfettamente i concerti, grazie ad un’attrezzatura di primissimo ordine. Ma attenzione perché in questo Cafè Vinilo il cartellone non propone solamente tango. Quindi assicuratevi bene del genere di musica in programma, anche quando vedete il nome di uno che fa subito pensare al tanguero de pura cepa, ad esempio ultimamente Peppe Voltarelli. Un cognome che porta fuori strada perché lui non è affatto un Amilcarelli, un Carabelli, un Petruccelli, un Puricelli. Non è neanche il creatore o testimonial del celebre antinfiammatorio che contrae il suo cognome in una rassicurante sigla farmaceutica. Infatti, contrariamente a tutte le aspettative, si tratta del crooner della Sibaritide in trasferta qua giù, a oltre diecimila kilometri dal basso Jonio di provenienza. Una volta informati con precisione che il gruppo in programma suona il tango, difficilmente si sbaglia e quindi si possono sfidare anche gli apocalittici e gli integrati affiliati al turismo della moda tango, che sono capitati al Vinilo prima di proseguire la loro notte palleggiando abbracci su un campo da basket destinato a milonga. E Moda tango si intitola un tema composto da Nestor Marconi che è nel repertorio del quinteto e sicuramente ascolteremo…seduti vicino a due russi, quattro giapponesi e un mongolo, unico a portare una dinner-jacket e cucita a Ulan Bator. Una composizione orchestrata benissimo e perfettamente eseguita anche senza rete, dove lo stile del leader ha frullato la sua storia di musicista. Mi chiedo quali possano essere gli eredi di Marconi nel maneggiare con tale perizia il bandoneon: forse i giovanissimi Lautaro Greco, Renato Venturini, o quelli maggiori di qualche anno come Federico Pereiro o Carlos Corrales. Ai giovani Marconi regala un consiglio prezioso: ”que se busquen a sí mismos, contagiados por los grandes músicos que ya pasaron, tratando de hacer las cosas a su manera, sin imitar “. Entrati in questo viaggio tra la musica di Nestor Marconi dalla porta del cinema, ne usciremo da quella del Teatro Gaston Barral. Analogamente, siamo entrati tra i fumi dell’alcool evocati da Troilo e Catulo Castillo in di La ultima Curda e usciamo tra fumi dell’alcool che sembra facciano ridere due amanti, ma la loro è un’euforia indotta e valida con un effetto a breve termine che la letra di Cadicamo chiude con una delle più agghiaccianti sentenze dell’intera storia del tango: i due prendono coscienza di essere entrati nel loro passato! E sul palcoscenico di questo teatrino situato nel barrio Almagro, che ospita quasi trecento spettatori tra i quali si ha la certezza di non incrociare russi, giapponesi o mongoli, c’è una strana coppia. Siamo arrivati giusto per il bis in cui ci raccontano musicalmente questo tango di Juan Carlos Cobian dalle varie vicissitudini: prima solo strumentale con titolo Clarita, quindi Los dopados come l’opera teatrale in cui debuttò con una letra; quindi Los Mareados con le nuove parole di Cadicamo sollecitate da Troilo che lo incide con Fiorentino nel 1942, infine, ma per pochi anni En mi pasado per via delle imposizioni censorie che imperversavano all’epoca. Forse sul palcoscenico c’è la coppia più stravagante che si possa immaginare tra quelle possibili nell’ambito degli strumenti del tango. Lui è tedesco ma sinuoso, affascinante, misterioso. Lei, e la inquadro nel genere femminile alla francese, è gigantesca, grassoccia, con un vocione ma per certi versi anche affascinante e misteriosa. Insomma si tratta del bandoneon di Nestor Marconi e della contrabbasse di Juan Pablo Navarro che qui ha modo di sfoderare una padronanza solistica capace di tenere testa a quella che conosciamo bene nel suo interlocutore. Il frequente utilizzo del contrabbasso in primo piano, è una delle novità che il tango contemporaneo ha incoraggiato, mentre in tutta la tradizione di questa musica l’ingombrante strumento è stato incaricato ad assolvere la funzione di, come dice Piazzolla su Kicho Diaz, “elefante che porta sulle spalle tutta l’orchestra”…. forse memore di chi interpreta l’elefante in Le Carnaval des Animaux di Camille Saint-Saëns. Ma proprio Piazzolla ha pensato di scardinare questa funzione che lo costringeva alle penumbrali retrovie dove il suo lavoro era riconosciuto dai musicisti ma quasi sempre ignorato dal pubblico. La piena luce della ribalta fu propiziata da composizioni dedicate che hanno sfruttato anche nel tango tutte le doti di questo elefante, già ampiamente valorizzato nella musica classica e nel jazz. Nascono Contrabajeando composto insieme a Troilo, quindi Kicho dedicato a Diaz con una cadenza di contrabbasso, quindi Contrabajissimo anche questo con una cadenza solitaria registrata da Hector Console. Precedentemente, nel 1949 va registrato il primo solo di contrabbasso in una versione di Canaro en Paris dell’orchestra di Osvaldo Pugliese che in questo arrangiamento fa suonare la classica variazione prima al bandoneon e quindi, subito dopo, quella finale al contrabbasso di Aniceto Rossi. Tra queste uscite solistiche voglio ricordare quella di Fernando Cabarcos in Amurado con il trio di Leopoldo Federico; quella tematica di Eugenio Pro in Madame Yvonne con il cuarteto Troilo-Grela; La Cumparsita del Quinteto Real ad opera di Omar Murtagh; una seconda versione di Canaro en Paris che Pugliese registra nel 1965, orchestrandola con la sua fila di bandoneones, Osvaldo Ruggiero, Victor Lavallen, Julian Plaza e Arturo Penon, più il solito e solido Alcides Rossi. E da questa piccola lista si trae una conclusione: tutte queste versioni, ad esclusione forse del primo Canaro en Paris di Pugliese, sono registrate da gruppi che non sono impostati per favorire il ballo in milonga. In quel caso il contrabbasso è sempre impiegato in compiti ritmici armonici e mai melodici, perché è una guida imprescindibile per i ballerini. Una notte, parlando con Carlos Gavito proprio di questo strumento, mi disse “sono quarant’anni che io ballo sul contrabbasso”. Questo eroico personaggio fonico ha esteso tutte le possibilità che già conoscevamo nel jazz e nella musica classica, al linguaggio del tango, portando al fuoco della ribalta strumentisti di alto livello come Sergio Rivas, Pablo Motta, Leonardo Teruggi, Enrique Hurtado, Pablo Aslan, Ignacio Varchausky, insieme ai meno giovani Oscar Giunta e Fernando Cabarcos figlio, e finalmente a una donna, Lila Horowitz che mi prestò il contrabbasso nella mia prima turnèe argentina. Ho lasciato per ultimo il nostro Juan Pablo Navarro he oltre ad essere un eccezionale strumentista, è arrangiatore, compositore e leader di ugual valore. La sua interpretazione, come quella di Marconi con cui dialoga, non è solo un esaltante pezzo di bravura fine a sè stesso. Qui la risposta alla domanda del filosofo peripatetico Aristosseno, torna a concepire la musica come espressione dell’anima che riconosce nella tecnica il mezzo ancillare per realizzarsi.