Meglio essere turlupinati da un passato che non abbiamo visto o da un presente di cui nostro malgrado facciamo parte? Nel tango è un’alternativa che si presenta spesso. A Buenos Aires c’era un vecchio milonguero che diceva sempre: il nostro passato è il fallimento, il nostro presente è il disonore; meno male che non abbiamo un futuro... Come potevo dargli torto: nel lungo, lunghissimo inverno del nostro contentino che è il tango, diventano ogni giorno più brucianti le illusioni che abbiamo perduto.\ Questo è il racconto di ciò che accadde una notte lisergica del 1976, in una sala da ballo romagnola, una specie di sogno di una notte di fine estate. Non è certo là che poteva nascere e insuperbire il bestiale errore secondo cui lo spettacolo avrebbe luogo sulle tavole del palcoscenico, anziché nella mente dello spettatore. Però con quanta premurosa insistenza l’autore avverte qui gli astanti che ciò che stanno per sentire è mero inganno e artificio, cifra degli eventi reali che accadono qui, là, in Francia, in Argentina, oltre il mare; o, meglio, nel teatro del loro pensiero; con quanta gelosia l’autore mantiene calato il sipario invisibile che difende il suo breve territorio. Egli intende d’esserne lasciato padrone incontrastato, libero di crearvi un nuovo universo a suo talento, retto da ordini propri, col suo destino particolare, con i mari, le terre, le piste, gli astri occorrenti, e con i suoi abitanti... Da fuori, la Casa del Popolo sembra questa. Questa è la scalinata rumena, questa la targa “Qui Mangiapreti”, questo qui è il bandierone rosso con l’Edera al posto della Falce e Martello. Dovremmo essere a Gambettola, nella bassa cesenate. Dico dovremmo perché al sabato sera non facciamo molto caso alla rotta, andiamo fin dove ci porta la benzina.
Lo so, Fonzie dice che il sabato è la serata dei pivelli, però è anche l’unica in cui il padre di Augusto ci presta l’850. Color caffellatte, ovviamente, corretto dagli adesivi. Dobbiamo stare attenti a dove parcheggiamo, Gambettola è la capitale europea della rottamazione e del recupero ferrosi. C’è anche il monumento. Di color caffellatte, tra l’altro.
Alla Casa del Popolo si balla, e tanto basta alla nostra piccola psichedelia. La sostanza va però corroborata: non pretenderete mica di studiare l’astronomia a occhio nudo, diceva John Lennon. Ma lui non rimediava con lo Zabov. Qui però non avremo problemi, al Popolo servono vino serio, mica gazzosine da stilisti. A me per esempio piace il Pagadebit, innanzi tutto per il nome. Bei tempi quando i creditori li tacitavi con un bicchiere. Ma adesso la tecnica bancaria ha fatto progressi da gigante. Sono astemi.
Foriamo il nebbione ed entriamo. Nei pressi del bancone ci sono due poster: Luciano Lama, nato qui, e Federico Fellini, che qui faceva le vacanze, entrambi con dedica a pennarello verde. C’è anche il Pagadebit. Lo dicevo, io. Dal piano superiore arriva della musica ritmata. Abbiamo tutti l’età in cui una batteria è una cosa importante.
- Perché non andate su che ci sono tre ragazzi che suonano? - ci suggerisce il barista.
- Se è gratis - rispondiamo
I tre ragazzi hanno invece l’età in cui la cosa importante era una fisarmonica. Il bassista è cieco, cliente ideale di quelle scarpe allo zabaione.
L’ambiente è fumoso, i tavolini sono di fòrmica, le signore in ghingheri, gli uomini paonazzi. L’allegria sembra contagiosa, ma siamo vaccinati. Ci siamo portati su le bottiglie necessarie a un’eroica resistenza.
Mi invitano subito. Ma quale cabezeo! Sono l’elegantone della brigata e il mio tight alla Groucho Marx "fa ambasciatore” anche nei centri rurali. Vanda, con la V normale, è la prima:
- Chi s’è sposato? - mi chiede.
Trasloco immediatamente nelle braccia di Dirce e poi in quelle di Angiolina, come mia nonna. Evito di dirglielo per tatto coreografico. Un diplomatico non fa gaffe.
- Meno male che ci siete voi giovani. Se no, com’è il domani della Filuzzi?
- Lungo, milady. La Filuzzi will never die...
Ditemi voi se non ho avuto ragione. Valzer e ancora valzer, che è quello che mi viene meglio e l’unico suonato dai veterani. Anche il tango lo suonano in tre quarti, come fa Horacio Salgán, lo Strauss del Rio De La Plata.
Al secondo tango viennese mi tocca cedere l’Italia a suo marito, che è un prenotato. Del resto, in tutte le milonghe del mondo il sabato è coniugale. Fonzie starebbe in casa anche ad Almagro.
- Attenzione, attenzione... - un uomo si erge in mezzo alla pista.
Ci siamo, mi dico, ecco l’annuncio del Segretario della sezione di Stepancikovo che fa precedere la discussione sui progetti della nuova fognatura da alcune considerazioni sulla situazione della lotta di classe a livello mondiale. Invece no, è un’esibizione. Non si scappa. Vai col Pagadebit.
- Compagne e compagni, interrompo solo per un attimo il vostro prillare per presentarvi un giovane fenomeno del trombone. Prima però voglio che tributiate a questi ragazzi di Ferrara un applauso di benvenuto. Grazie ragazzi, tornate a trovarci, qui siete a casa vostra.
Senti chi parla. Il pugno chiuso leggermente alzato ci sembra un ringraziamento garbato. Voilà.
- Come vi dicevo, ecco il trombonista: mio figlio Gunnar.
Figlio suo e di una svedese. L’oriundo biondino-romagnolo va sul sicuro e ci suona Bandiera Rossa, con svisate e tutto. Successo concorde di pubblico e critica, ma il padre non è contento:
- Le sorprese non finiscono qui. Sabato scorso ci avevano fatto una promessa e ora sono tornati a mantenerla. Due affidabili... due virtuosi del liscio, del latino, del tango figurato, di quello che volete. Il loro forte è la traiettoria, ma vanno bene anche nella giravolta. Ecco a voi... i completi... Sabrina e Gianlucaaa!...

Non c’è niente da fare, questi esibizionisti sono una piaga. Si godono la primavera che tolgono agli altri, come scriverà prima o poi Fabrizio De Andrè.
Entrano due indigesti muñecos de torta, le statuine della torta nuziale che proprio per questo non si mangiano. Ecco qui chi s’è sposato, cara la mia Vanda con la V normale. E tu, Gianluca, mi fai ribrezzo, sappilo. Specie con quel tight marxista copiato all’Ambasciatore di Ferrara, ora ostaggio del tuo happening settimanale.
Speriamo almeno che ballino L’Inno dei Lavoratori o i Morti di Reggio Emilia. Macché, ci danno dentro con gli standard, in due sopra quattro gambette e con un vassoio di stronzi per abbraccio. Fanno tutta la sfilza. Il loro tango simpatico è una cosa che prende allo stomaco.
E così distolgo lo sguardo. E’ il momento della riflessione personale. Queste meraviglie i desti non le vedranno mai e io non oserò ricordarmele. Di sicuro non a occhio nudo. Gambettola, paese di scasso e smaltimento. Così è anche tutto il resto. Dove sarà l’astronomia? Cosa mi staranno organizzando le sfere celesti? Da qui le stelle sono mingherline, gli equinozi tutti storti, la sproporzione non mi dà quartiere. Forse a Buenos Aires, sotto il suo cielo al revés, una musica ci sarà che...
Augusto mi interrompe con un cabezeo:
- Hai letto là cosa dice?
La notazione mi indica il fondo della sala, ma i miei occhi poco astronomici non ci arrivano. Mi tocca il dribbling tra i due esibenti che ancora volteggiano a nasi girati. E là, sul muro dietro alla struttura del ciclostile, leggo finalmente il cartello. Tutto si tiene a questo mondo: QUI DENTRO SONO PROIBITE LE SCENE ROMANTICHE. Lo dicevo, io.