Quando ho ascoltato dalla timida voce di Horacio Salgan che l’idea ispiratrice del suo brano più celebre non è stata un’intuizione legata ad un episodio musicale bensì testuale, sono rimasto veramente sorpreso dall’originalità di questo corto circuito. L’antefatto si svolge a Siviglia nel bel mezzo del primo atto del Barbiere rossiniano, quando prende la scena Don Basilio, il sordido maestro di musica della bella Rosina che non vuole sposare il Conte d’Almaviva a cui è promessa perché non lo ama, preferendogli Lindoro ….senza immaginare che le serenate con cui l’ha conquistata gliele cantava proprio il Conte sotto mentite spoglie. Don Basilio spiega il suo piano per liberare Rosina screditando il Conte agli occhi del mondo attraverso una calunnia. Ed è la sua spiegazione di come possa propagarsi la calunnia ad essere la fonte creativa che ha suggerito a Salgan l’impostazione di A fuego lento, senza dubbio uno dei suoi temi manifesto nel poker in cui figurano Grillito, A Don Agustin Bardi e La llamo silbando. Quello che aveva colpito Salgan nel libretto scritto da Cesare Sterbini a partire dal testo di Pierre Beaumarchais, era la progressiva escalation che trasforma una calunnia da “un venticello, un’auretta assai gentile” in “un tremuoto, un temporale”. Rossini accompagna questa spirale con quel parossistico infittirsi sonoro dell’orchestra conosciuto come “crescendo rossiniano”, e alla fine di questa aria il vigoroso fragore della musica la avvicina addirittura ad una specie cabaletta. Salgan segue questa procedura partendo da un materiale povero, una frase musicale che sarà il ”venticello” sussurrato e via via trasformato in “un tremuoto” ribollente . A seguire questa parabola non sono tanto le note, cioè la melodia di questa frase che nel corso del suo apparire viene sottoposta a interventi che la modificano, bensì lo stampo ritmico ripetuto con insistenza ossessiva durante il brano attraverso diverse combinazioni dell’orchestrazione. Dalla sua prima esposizione iniziale, le sue mutazioni intervengono sia sulla linea melodica in primo piano sia nel suo utilizzo come sfondo di altre invenzioni come la variazione di pianoforte che inizia a congestionare l’accumulo strumentale conferendo una inedita soluzione timbrica; la prima variazione di bandoneon dove il pianoforte intreccia una seconda linea nel registro acuto; la seconda e conclusiva variazione di bandoneon che è il culmine del crescendo rossiniano à la Salgan che prelude al finale. Questo procedimento che interessa il motivo principale è interrotto bruscamente da un estribillo o ritornello costruito per contrasto, alla natura essenzialmente ritmica del tema principale. Il ritornello appare infatti come una sorta di prisma sfaccettato che sottolinea un carattere cangiante e frastagliato, esattamente all’opposto della ripetizione ossessiva del motivo originario, riproposto in diversi modi tra i quali quelli esaminati in precedenza. L’inizio è come un repentino cambio di registro, articolandosi in una frase lirica, prima con i violini tutti quindi con il bandoneon di Leopoldo Federico. L’idea viene ripetuta con un’ulteriore esposizione ma con un fraseggio ritmico, sviluppandosi in seguito con un’altra cellula melodica presentata in maniera così fantasiosa che per definirne il sommario sarebbe imprescindibile ricorrere alla matita e al pentagramma. In tutto questo sfoggio di creatività, le 32 batture dell’estribillo fanno risaltare l’omissione di uno dei cardini della scansione ritmica del tango: il marcato. Salgan registrerà A fuego lento nel 1955, due anni dopo averlo composto e in quell’epoca, scrivere una composizione di questo genere equivaleva a posare un’ulteriore pietra miliare nel coraggioso cammino che il tango stava lentamente intraprendendo. Tuttavia il caso Salgan è unico e per certi versi paradossale. Il pianista ha dichiarato in più occasioni di non essersi mai posto il problema estetico della sperimentazione, ascoltando invece la sua esigenza personale di suonare solo ciò che piaceva a lui, nel preciso rispetto degli elementi sintattici del tango. Per questo motivo le apparizioni di Salgan come pianista di altre orchestre si sono limitate all’esperienza giovanile con Roberto Firpo, pianista anch’egli ma in necessità di un collega che ricoprisse il suo posto nell’orchestra mentre lui era impegnato in un altro luogo con il cuarteto. Tutto il resto della sua carriera si è quindi configurato nel quadro artistico che ha deciso lui stesso, rispettandolo con fermezza e continuità in ognuno dei suoi progetti musicali che hanno avuto sostanzialmente tre indirizzi: prima quello dell’orquesta tipica, poi quello del duo con Ubaldo De Lio, quindi quello del Quinteto Real nelle sue due versioni. In ognuna di queste situazioni che si sono susseguite nel tempo, Salgan è rimasto fedele al suo stile già ben formato in gioventù con la sua tipica, perfezionandone i dettagli ma senza ricercare l’evoluzione stilistica che al contrario, chi più e chi meno e a modo loro, hanno intrapreso un Troilo, un Pugliese o un Piazzolla. Forse per definire l’approccio salganiano al tango si potrebbe osare il ricorso ad un ossimoro, chiamandolo neo-tradizionale, una categoria che smarca Salgan da qualsiasi scuola evoluzionista e lo descrive come cultore di idee musicali nuove e completamente personali, ma radicate esplicitamente nella tradizione del tango e addirittura spinte perfino più indietro nel tempo, per recuperare l’antico spirito ritmico delle origini afrocubane da cui egli stesso discende (…come racconta a Horacio Ferrer nel 1969: “Dos o tres generaciones familiares atrás, probablemente mis bisabuelos, fueron negros. Acaso de ahí procede mi manera de sentir y de tocar las sincopas, por ejemplo”). A questo legame si aggiungono con discrezione palesi influenze folkloriche. Quest’ultimo dettaglio è svelato chiaramente in un’intervista dove Salgan ci informa di averlo mutuato da alcuni tangos de la guardia vieja che “hablavan de las cosas del campo”, facendo trasparire in controluce caratteristiche melodiche imparentate con la vidalita e l’estilo. Tra gli esempi che cita lo stesso Salgan seleziono El entrerriano o El jaguel entrambe composti da musicisti di colore (Rosendo Mendizabal e Carlos Posadas, rispettivamente), o El buey solo e El baqueano tutti e due scritti da Agustin Bardi: compositore paradigmatico per quel che riguarda la creatività melodica e l’equilibrio delle sue opere, tanto da essere riconosciuto come autore fondante del genere e oggetto di ammirazione che Salgan spiega così: “Si tomamos algunos temas de Bardi vamos a encontrar que tienen un vuelo lírico tan extraordinario... (...) Arolas, Bardi, Cobián y otros han llegado a una gran altura comparable con los más grandes compositores del mundo. No en el desarrollo o factura sinfónica ni en obras de largo aliento, pero sí en la creación de melodías”. Certo, Salgan praticava il jazz e la musica brasiliana, oltre che con il repertorio del pianismo classico, ma le tracce di questi generi, se ci sono nel suo stile di tango, sono francamente residuali e d’altro canto involontarie vista la sua dichiarata idiosincrasia per gli ibridi. E se come virtuoso del pianoforte è stato tra i numeri uno, nell’arte dell’arrangiamento la sua fucina ha sformato più di quattrocento rifacimenti orchestrati per i più diversi organici. Ho utilizzato la parola rifacimento perché, oltre a sposarsi felicemente al concetto di neo-tradizionale, riprende il senso di quella terza via praticata dal Fortini traduttore: come Fortini, Salgan non sceglie né la maniera filologica che cerca di custodire la scrittura della composizione, né l’appropriazione dell’originale che lo stravolge reinventandolo come fa ad esempio Piazzolla con il suo Octeto. Come Fortini, Salgan segue la terza via del rifacimento che mantiene visibile la distanza tra l’opera di partenza e quella d’arrivo, per mutarla in tensione conoscitiva rispettando l’imperativo della “fidelidad a la obra”. E’ possibile comparare facilmente questi tre punti di vista riflettendo sull’ascolto di tre arrangiamenti del più antico tra i tangos editi in partitura e archetipo della struttura dei tangos tripartiti: El Entrerriano del 1897 e tra le altre cose citato da Salgan nell’includerlo tra le pagine della prima epoca del tango influenzate dalla musica campera, e in questo caso anche il titolo riflette questa circostanza. Prendiamo le versioni di D’Arienzo, Piazzolla e Salgan. D’Arienzo che sceglie un carattere filologico, esegue la linea melodica così come è scritta: perciò trasposizione letterale della melodia. Piazzolla con l’Octeto fagocita l’originale trasfigurando la melodia per farla propria anche con aggiunta di battute e situazioni create nella stesura dell’arrangiamento: perciò appropriazione della melodia. Salgan rende molto riconoscibile il tema inserendo solo alcuni spostamenti di note per rendere sincopata la melodia: perciò rifacimento della melodia con lo scopo di…e questo concetto lo rubo a Schiller…..far “riconoscere il diverso nel simile”. Detto in soldoni, riconosciamo che l’interpretazione della melodia utilizza tutte le novità specifiche del linguaggio salganiano ma insieme siamo di fronte ad una palese esposizione della melodia di El Entrerriano. Ma seguendo questa linea di trattamento, quali sono gli attrezzi del mestiere di Salgan? Tutti gli elementi della tradizione utilizzati in maniera originale, senza assumere punti di riferimento palesi come lo è stato ad esempio De Caro per Pugliese o Vardaro per Troilo. E questa attitudine è già perfettamente formata nel 1944 quando Salgan debutta alla testa della sua prima orchestra, occupandosi personalmente degli arrangiamenti con l’umiltà di non farlo sapere agli acquirenti dei suoi dischi neanche nelle sue ultime incisioni. Purtroppo l’originalità sappiamo come induca a miopia o sordità, e ai manager di Radio El Mundo dove l’orchestra era sotto contratto, la qualità musicale dell’estilo salganiano, suonava incompatibile con il gusto canonico dell’epoca. E poi si aggiungeva un’aggravate dovuta al fatto che Salgan aveva scelto Edmundo Rivero, un cantante dal timbro di baritono, quindi dal registro molto grave e unico nel panorama dei cantores de orquesta. La famosa goccia che fece traboccare il vaso riguardava la fisionomia di Rivero poco conforme ai canoni estetici in voga e quindi con un sex appeal che poteva attrarre solo la fetta più eccentrica del pubblico femminile: faccione bislungo, nasone, manone, vocione, baffetti che avevano tutta l’aria di essere posticci. La somma di questi motivi e la riluttanza del leader nel piegarsi alle richieste del mercato, fecero si che la prima orchestra fu sciolta nel 1947 senza aver lasciato neanche una testimonianza discografica, se non una registrazione di prova del 1946. Si tratta del tango Mis calles portenas dove per la prima volta nel genere compaiono elementi sincopati non nell’accompagnamento come era d’uso, bensì nel cuore della melodia. E questo ci informa del fatto che Salgan era già in questa prima tranche della sua lunga carriera, il Salgan della maturità. Ritiratosi per insegnare e comporre, il pianista si riaffaccia sulla scena nel 1950 con una nuova orchestra in cui, tra gli altri, figurano Leopoldo Federico primo bandoneon, Carmelo Cavallaro primo violino e Angel Alegri al contrabbasso. La prima uscita discografica è un singolo strepitoso con Recuerdo di Pugliese su un lato e La clavada sull’altro. Quello che sembrava impossibile accade: l’arrangiamento di Recuerdo è addirittura più ricco, equilibrato, complesso di quello del suo autore. Sottolineo una prima variazione a carico del pianoforte che riprende la storica variazione di bandoneon addirittura pubblicata nella edizione della partitura originaria; la tessitura acuta, quasi da carillon, con cui Salgan intreccia il suo strumento durante la variazione che sarà la prima delle due affidate al bandoneon; il solenne passaggio tematico composto da Salgan per gli archi tutti, accompagnati per contrasto da un robusto marcato in quattro, seguito dalle sincopas su cui si stacca il primo violino fino a precipitare in una sottile tessitura rarefatta,… quindi l’ultima e la classica variazione di bandoneon sotto il quale la stessa frase melodica degli archi tutti si ripete,… ma sono solo macro dettagli perché al microscopio si nascondono altre sfumature che impreziosiscono un’orchestrazione emblematica. La sua scrittura, come è normale per gli arrangiamenti di Salgan, è precisata in tutti i dettagli e non lascia il solito spazio alla prassi orchestrale che in genere considera l’arrangiamento una guida su cui aggiungere le spezie dello stile dell’orchestra. A questo proposito Leopoldo Federico ricorda le difficoltà nell’affrontare quelle partiture che inserivano una carica sincopata inusuale, aggiungendo però che una volta superato questo ostacolo gli incastri orchestrali facevano suonare tutto in maniera del tutto naturale e a tal punto che sorgeva il problema opposto. Nelle circostanze in cui un membro dell’orchestra di Salgan accettava l’ingaggio proposto da un altro direttore, era difficile ritornare indietro e riprendere l’approccio convenzionale che suonava insipido se non addirittura sbagliato. Ancora oggi Horacio Salgan, la cui vita centenaria si è spenta nel 2016, influenza molti musicisti della nuova scena contemporanea ispirando una certa maniera di arrangiare, sia temi della tradizione che originali. E tra i fanatici di Salgan, già quando per gli altri la proposta musicale dell’orchestra del pianista era considerata dispregiativamente “rara”, dobbiamo ricordare un giovane bandoneonista che nella magniloquenza delle notti di Buenos Aires del quarantaquattro, durante le pause dell’orchestra di Troilo in cui suonava, usciva dal Tibidabo e attraversava la Calle Corrientes correndo ad ascoltare gli arrangiamenti di Salgan che a lui sembravano entusiasmanti. Era Astor Piazzolla che una decina d’anni dopo avrebbe intrapreso una strada diversa da quella di Salgan che spiega benissimo la questione: “Mi estilo nace y cobra forma por un proceso exactamente inverso al de Piazzolla. El plasma el suyo por la necesidad de salirse del tango. Y yo el mío, por la fijación excluyente de querer meterme dentro del tango.”. Nonostante questa opinione Piazzolla è un ammiratore dei decareani e di Salgan così nel 1957 registra una versione funambolica di A fuego lento per l’etichetta Disc Jokey con il suo Octeto de Buenos Aires, pietra miliare che segna l’anno zero del tango contemporaneo. L’arrangiamento è uno scrigno d’invenzioni scintillanti, soprattutto considerata la natura del tema in questione, così ben organizzato e già registrato magnificamente dal suo autore. Ne sa qualcosa chi ha provato ad arrangiarlo e faccio qualche nome per indicare le versioni più riuscite tra quelle che conosco: senz’altro Anibal Troilo e più avanti il Sexteto Tango, mentre ai giorni nostri mi sembra all’altezza la versione di Color Tango e quella di Christian Zarate che risulta la più originale anche dal punto di vista timbrico.
17 agosto 2020
La calunnia a fuego lento
di Franco Finocchiaro
Radio Tango Macao non vive di pubblicità. La creazione dei contenuti richiede un grande impegno. Se apprezzate il nostro lavoro, vi chiediamo di sostenerlo con una piccola donazione.