Leopoldo Federico è entrato nel terzo millennio settantatreenne, un’età più idonea alla vita tranquilla, al gingillarsi tra i fastosi ricordi di una carriera lunga e importante, agli affetti, ma la sua fame di musica, la sua appassionata disponibilità a fare nuove esperienze, il suo stupore incredulo di fronte ad una nuova scena del tango dove “muchos chicos buenos…se animan a hacer orquestas”, non si conciliavano con il riposo. D’altronde lui è stato il più osannato tra i bandoneonisti viventi che hanno attraversato il periodo frenetico dell’epoca d’oro del tango, continuando ai vertici anche nelle decadi di vacche magre, durate per i grandi musicisti come lui anche quando la piovra del mercato globalizzato del tango agitava i suoi tentacoli promettendo un’attività serrata, turnèe internazionali, testimonianze discografiche, a patto di accettare cachet irrisori, autoprodurre le proprie incisioni, proporre un repertorio adatto alle necessità delle milongas per soddisfare i suoi frequentatori. Ma all’interno di questa mediocre e convulsa penombra ci sono spiriti che non si svendono, tenendo vive luci di verità e indipendenza che anche in questa contingenza non smettono di brillare e sono disponibili al pubblico che ha la curiosità di cercarle e il piacere di sostenerle. Leopoldo Federico si è speso per contribuire personalmente, partecipando a progetti discografici realizzati da musicisti con cui condivideva, non senza una dose di gentile indulgenza, punti di riferimento, idee musicali e sensibilità, a dispetto delle differenze generazionali che li dividevano. Uno tra questi è stato il pianista Nicolas Ledesma che è stato il braccio destro nell’orchestra guidata da Federico in questo millennio. Ledesma si è occupato di vari arrangiamenti tra i quali sottolineo il tema intitolato "Un fueye en Paris" che Federico ha dedicato a Piazzolla. Il brillante lavoro fatto dal pianista sulla partitura originaria per interpretarlo sul cd a suo nome intitolato Meridiano Buenos Aires, è un esempio emblematico della natura citazionista con cui si trattano le composizioni nelle migliori orchestrazioni del tango contemporaneo, vale a dire coinvolgendo elementi che si possono distinguere nelle migliori orchestre della stirpe decareana fino a Piazzolla compreso. Questa prospettiva abbracciata dall’orchestra di Nicolas Ledesma è sicuramente portatrice di un linguaggio molto coinvolto nell’estetica espressa da quella di Leopoldo Federico, midollo tanguero di dna decaraneo, poesia troileana, impeto e creatività piazzolliana in una tersa limpidezza di stile, pura epifania un po' come quella che lo Zen chiama satori. Analizzando a volo d’uccello le linee guida che sono condivise da lui, da Federico e dai migliori arrangiatori sulla scena, emergono vari dettagli. Innanzitutto la relazione tra la melodia e il suo accompagnamento è per così dire mobile in quanto quest’ultimo è liberato dalle regole tacitamente imposte dal tango ballato. Questo comporta un continuo cambio delle figure ritmiche a cui sono chiamati la mano sinistra del pianoforte e la linea del contrabbasso, seppur sempre annoverate nella sintassi che distingue i topoi del genere. Riassumo queste figure in brevità: marcato in uno, in due e in quattro, con quest’ultimo previsto anche nella tipica modalità piazzolliana del bajo caminante che allude al walking bass del jazz; sincopas in tutte le varianti utilizzate nel genere; tres tres dos; omoritmi; rubati; rallentamenti e accelerazioni della pulsazione. Inoltre può essere lasciato spazio a cadenze solistiche all’interno dell’arrangiamento. Tutti accorgimenti che si riconoscono nei procedimenti dell’ultima orchestra di Federico, per esempio in un tema scritto da lui insieme al pianista Osvaldo Requena e dedicato al bandoneonista che con Antonio Rios è l’emblematico rappresentante della scuola bandoneonistica di Rosario: Julio Ahumada, forse il preferito di Argentino Galvan che lo ha sempre voluto con sè nelle sue imprese tra le quali quella nobilissima di Los Astros del Tango. I più curiosi possono rendersi conto delle sue prodezze ascoltandolo con la sua orchestra coodiretta con il collega Miguel Bonano, o come primo bandoneon nelle magnifiche formazioni di Joaquin Do Reyes e Enrique Mario Francini che lo ha impiegato anche come arrangiatore. Devo dire che il risultato dell’arrangiamento di questo Retrato de Julio Ahumada è così brillante che devo trattenermi nell’attardarmi, come dice un verso di Borges, a “cercare forme di leoni o di montagne” nelle nuvole… questa volta musicali. Ascoltando queste composizioni resta il rimpianto che Leopoldo Federico non sia stato un compositore prolifico. Tuttavia negli ultimi anni abbiamo scoperto che nel suo cassetto sono rimaste diverse pagine praticamente sconosciute grazie all’attenzione della Biblioteca Nacional che ha consentito la produzione un progetto di valorizzazione del patrimonio musicale del tango. A caldeggiare l’iniziativa è stato soprattutto il contrabbassista Ignacio Varchausky, instancabile promotore di varie opportunità volte a preservare, catalogare, registrare, rendere disponibili le composizioni meno conosciute se non proprio inedite, inerenti al tango. La sesta uscita del ciclo Raras Partituras, pubblicato sotto l’egida della Biblioteca che per anni è stata diretta da Borges, ha come protagonista la musica meno nota del nostro Leopoldo Federico: pagine che lo stesso compositore ha dichiarato di aver addirittura dimenticato. L’incisione di queste partiture rare risale al 2010 e nonostante Leopoldo Federico sopportasse sulle spalle ottantatre anni, di cui oltre sessanta trascorsi a suonare tango, riascoltando quei suoi temi dimenticati e ora rinfrescati da arrangiamenti che ha giudicato “uno mejor que el otro”, il bandoneonista ha deciso di non limitarsi alla fugace apparizione pattuita. Insomma, ha finito per unirsi entusiasta all’orchestra El Arranque che ha preparato gli arrangiamenti e li ha registrati insieme a lui, seduto tra i giovani bandoneonisti Camilo Ferrero e Ramiro Boero, con Guillermo Rubino e Gustavo Mulé ai violini, Ariel Rodriguez al pianoforte, Martín Vazquez alla chitarra elettrica e il già citato Varchausky. Quest’ultimo ricorda un aneddoto che risale a quella circostanza e che aiuta a intuire ancora meglio il carattere dolce e il temperamento passionale del niño grande. La scena vede Federico incitare i giovani musicisti dell’orchestra El Arranque esclamando “Vamos muchachos, como en el cabaret”. E in questa riuscitissima sessione d’incisione lo spirito sanguigno dell’ospite e lo slancio dei colleghi riesce a parodiare la spontaneità di una esibizione en vivo…come en el cabaret, appunto. Tra i temi che più mi sembrano riusciti, uno che ancora una volta come i precedenti citati è stato dedicato a un musicista con cui Federico ha suonato sia nella tipica che nel Quinteto Real il titolo di questo tango è "Es para Horacio Salgan". La difficile scelta è giustificata dalla fantasia, dallo spirito, dalla personalità, dalla qualità della scrittura e dell’esecuzione che danno un carattere singolare all’arrangiamento. Un vero e proprio cambio d’aria trascinante con un paio di dettagli curiosi che vanno sottolineati. Il primo si inserisce in un momento particolarmente brillante, con la citazione delle prime due battute del celebre "A Fuego Lento" di Salgan, incastrate senza alcuna forzatura tra quello che viene prima e quello che segue. Il secondo avviene più avanti con l’inserimento di una frasetta di quattro battute che, seppur in maniera sfumata, riprende nelle prime tre quell’“agregado inexplicabile” di cui parla Piazzolla per spiegare la chiassosa atmosfera circense creata da lui in una straniante parentesi nel brano Neotango, composizione che il Maestro di Mar del Plata ha dedicato a Federico nel 1955. Ascoltando questa orchestrazione che sviluppa il suo turbinio con le caratteristiche di un linguaggio profondamente tanguero ed insieme aperto e accogliente, si capiscono perfettamente i motivi che hanno sollevato Federico dall’angustia di veder tramontare la mirabilia musicale del tango con l’esaurirsi del contributo dato dalla sua generazione. Il suo sogno stava tutto nella realizzazione di quello che T.S. Eliot ci ha insegnato scrivendo in un momento di ottimismo: “time the destroyer is time the preserver”. E a proposito del time the destroyer, c’è un tango che Federico ha registrato nel 2011, accarezzando la voce magnetica, questa volta recitante, di Susana Rinaldi che traccia un bilancio amaro in cui i due interpreti sembrano guardare negli occhi il tempo che li ha consumati, trascinato da quel “dio sinistro, spaventoso e impassibile” cantato da Baudelaire. Un piccolo gioiello che ha il melanconico titolo Eramos tan jovenes, registrato nel cd Vos y Yo con il testo della Rinaldi, su una melodia composta come leit motiv di una novella omonima realizzata da Aida Bortik per la rete televisiva Canal 13 e registrata da Federico nel 1987 con una delle sue formazioni più riuscite: il trio con Josè Colangelo al piano e Horacio Cabarcos (padre) al contrabbasso. Se nell’intimità del vibrante duetto con la Rinaldi, Federico è coinvolto in un resoconto dolce e spietato insieme, nella realtà ha la consolazione di constatare che dopo di lui il time the preserver esiste. Lui stesso ce lo racconta così: "Yo pensaba que después de nosotros el tango se moría, pero por suerte me equivoqué. Hoy hay una cantidad enorme de chicos talentosos que le van a dar continuidad al género." Questa fiducia non lo ha allontanato dal palcoscenico anche quando il suo avanzare nel paese della vecchiezza era ostacolato da dolori sempre più lancinanti contro cui esisteva una sola panacea a dargli sollievo: suonare il bandoneon e inoltre con la consolazione dei medici che lo rassicuravano, confermandogli che avrebbe potuto continuare a farlo anche nel momento in cui il peggiorare delle sue condizioni lo avrebbe costretto ad una sedia a rotelle. Venerato dai giovani e valorosi solisti della sua orchestra, il vecchio mattatore li trascinava coraggiosamente con quelle occhiate da bandoneonista cadenero che ha una funzione quasi maieutica di indirizzo e con un’alzata di ciglio guida financo le più impercettibili sfumature musicali affinchè l’orchestra palpiti all’unisono, flessibile ed esatta. Si augurava solamente una cosa, dicendolo con humor anglosassone in una delle sue ultime interviste. Desiderava che, qualcuno si assumesse il coraggio di fermarlo nel momento giusto, se ce ne fosse stato il bisogno. Quello in cui la qualità della sua performance risultasse macchiata da “patacones”… un termine così evocativo da non necessitare di alcuna traduzione. Ma la freschezza strumentale di Leopoldo, fino alle sue ultime uscite pubbliche, ha mantenuto la stessa verve che lo ha reso leggendario, intrecciando emozioni e pensieri unito al suo pubblico commosso, incantato ed entusiasta di fronte al miracolo che ogni tanto il Tango sa fare. A proposito della longeva lucidità artistica di Federico è necessario ascoltare Sueño de Tango, una pagina nutrita da una disinvolta matrice teatrale e da momenti di cantabilità che riescono ad ogni ascolto a suscitarmi facilmente il principio di piacere. Il bandoneonista l’ha firmata insieme al suo pianista Nicolas Ledesma, ingegnoso creatore del piccolo sortilegio che disegna l’arrangiamento come un arco magnetico di musicalità cristallina. Ne è scaturito un sogno di tango senza alcuna leziosità decorativa ma piuttosto con l’ampiezza di respiro e la pluralità di registri necessari ad esprimere estri immaginativi trascoloranti in molteplici velature cromatiche, sciolti, pungenti, in alcuni passaggi addirittura saettanti. In questa circostanza sono sottolineate tutte le virtù dei membri della sua orchestra, che oltre al pianista Nicolás Ledesma, era completata dal contrabbassista Horacio Cabarcos (figlio), i violinisti Damián Bolotín, Brigitta Danko o Miguel Angel Bertero, i bandoneonisti Horacio Romo, Carlos Corrales o il giovanissimo Federico Pereiro. Esempio emblematico di generazioni incrociate e legate attraverso una musica meravigliosa che con fatica sta cercando di scrivere il suo futuro, partendo dalla generosa eredità ricevuta dal suo passato. E a questo proposito è il caso di ricordare un monito ritornando a Eliot che oggi è già stato scomodato: la tradizione non si può ereditare e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica”.