In questo sommario di figure en raccourci che si propone di tracciare una mappa e delineare l’indice della storia del tango nella sua fase contemporanea ancora quasi tutta da scrivere, siamo partiti da un panorama stringato dei contributi essenziali a cui si sono sostanzialmente ispirate le nuove generazioni. Oggi approdiamo ad un nuovo capitolo dove sono protagonisti esimi musicisti, arrivati nel terzo millennio con una importante carriera alle spalle ma ancora attivi sulla scena e spesso coinvolti in progetti dove la loro esperienza, il loro valore e il portato di verità con cui questo sa esprimersi, hanno costituito una straordinaria occasione di conoscenza alla parte migliore dei cosiddetti nipotini del tango. La collaborazione tra senatori e giovani generazioni ha aiutato questi ultimi a colmare quelle imprescindibili lacune che qualsiasi didattica non poteva risolvere.
La breve sfilata di questi maître à penser inizia oggi con un impareggiabile bandoneonista, direttore, arrangiatore, e convincente seppur non molto prolifico autore che risponde al nome di Leopoldo Federico. Non era ancora trentenne e già la sua traiettoria artistica era impressionante visti i direttori per cui aveva suonato: cito i principali, Juan Carlos Cobian che gli ha dato il battesimo discogrfico nel ’44, Osmar Maderna nel ’46, e poi Alfredo Gobbi, Victor D’Amario, Carlos Di Sarli, Mariano Mores, Hector Stamponi, Lucio Demare, Horacio Salgan ricoprendo con lui il ruolo di primo bandoneon dal 1948 al 1952. Ma nel 1955 arriva la consacrazione, un’opportunità assolutamente inattesa quanto straordinaria. Roberto Pansera aveva declinato l’invito a ricoprire il ruolo di secondo bandoneon nel nuovissimo Octeto de Buenos Aires diretto da quello che lui ha definito “El sumo interprete”, Astor Piazzolla. E con il sommo interprete il nostro Federico apprende l’approccio che lo ha accompagnato nella sua lunga avventura professionale: lo racconta lui stesso in un’intervista rilasciata nel programma televisivo Encuentro en el estudio, «Bajá la cabeza y apretá a fondo. No toques para adentro porque tenés miedo»…. "Así aprendí a tocar de frente, a jugarme la vida como lo hizo Astor". Tra le incisioni che l’Octeto ci ha lasciato, c’è un tema di Piazzolla dedicato a Federico e intitolato Neotango. La questione è curiosa in quanto la composizione è aperta con il palese rimando ad un tango molto conosciuto dello stesso Federico e intitolato Cabulero. Piazzolla ne fa una citazione estesa che in ogni caso resta distante da certi inquinanti pastiche, quasi sempre inutili e kitsch nel senso più corrotto del termine. Entrando in punta di piedi nel merito dell’arrangiamento, aldilà della linea estetica conforme a quella seguita nel repertorio inciso dall’Octeto, c’è una stranezza che sfiora l’assurdo. Verso la metà del brano, esplode inattesa una musichetta che ha una chiarissima impronta circense dove, si alternano battute ternarie e binarie in parte organizzate sulla clave del 3 3 2. Le note di copertina del disco su cui il tema è registrato, ci illuminano in merito questa astrusa intrusione. E’ Piazzolla a chiarirci che in questo frammento desiderava disegnare il ritratto di Federico proprio come lui lo percepisce: “El agregado inexplicabile de la parte central refleja a Federico tal cual es; un niño grande!”. "NEOTANGO" – Octeto de Buenos Aires.
L’ubriacante esperienza con L’Octeto piazzoliano, ha creato lo sconcerto facendo scoprire a Piazzolla e compagni come il pubblico del tango non avesse giovani orecchie leopardiane, secondo cui “ogni novità musicale consiste in un’apparente stonazione”: al pubblico della Buenos Aires del ’55 tutto quel furioso intrico di contrappunti, di depistaggi ritmici suonava come una stonazione tutt’altro che apparente, cioè da comprendere e digerire nella sua natura di fulminante novità da accogliere nel genere. Allo sconsolante sciogliersi del gruppo, Federico fa un passo a lato e fonda una sua orchestra che inizierà l’attività come supporto di lusso ad delle voci più celebri dell’epoca, Julio Sosa. Durerà fino alla scomparsa prematura del cantante avvenuta nel 1964 e senza un personaggio così amato la vita di un gruppo numeroso si faceva difficile. L’orchestra inizia a impegnarsi in turnèe che la porta in tutto il mondo ma soprattutto in Giappone, mantenendo uno stile certamente evoluto e identitario seppur più radicato all’interno del linguaggio del tango. Ascoltiamolo con la sua orchestra nel 1964 in un tango di sua composizione dal titolo riferito molto precisamente a una circostanza strettamente musicale che si fa attendere nel coeso dell’arrangiamento ma alla fine non arriva. "DISONANTE".
Come suggerivo in precedenza, sappiamo come negli anni ’60 fosse complicato mantenere un’orchestra che avesse le dimensioni di una tipica, con l’organico che si era cristallizzato da almeno tre decadi, dopo il tramonto dell’epoca dei sextetos. Ci volevano organici alternativi, più sostenibili a parità di valore artistico, come il cuarteto che aveva formato Troilo con Grela negli anni ‘50. Ed è proprio con questo meraviglioso chitarrista svincolatosi da Troilo che Federico formerà il Cuarteto San Telmo, completato dal guitarron di Ernesto Báez e dal sontuoso contrabbassista Rafael del Bagno. In alcune circostanze Federico e Grela suonavano in duo anche per le registrazioni discografiche. Un binomio perfetto che ho intenzione di farvi ascoltare in un tema inciso per l’etichetta Music Hall nel 1973. Il brano firmato da Federico, Grela e Raul Garello è dedicato ad Ernesto Sabato, un illustre letterato di sangue calabrese che nel 1963 scrisse Tango, discusion y clave, un saggio di poco più di 150 pagine dedicato a Borges ed obbligatorio nelle librerie di tutti i tangueros de pura cepa. In questa seduta d’incisione tra questi giganti c’è una comunicazione direi telepatica, anche per via del fatto che Grela era un geniale autodidatta, senza alcuna confidenza con la lettura degli spartiti. Leopoldo ricorda che lui si incaricava di realizzare gli arrangiamenti registrandoli a casa su un magnetofono per portarli a Grela che avrebbe creato la sua parte con il suo gusto e la sua tecnica sopraffina: solo allora si aggiungevano il guitarron e il contrabbasso per rifinire il lavoro ed essere pronti per il palcoscenico del mitico Cano 14 che ospitava il quartetto con continuità. Ma il duo suonava essenzialmente a la parrilla e una composizione così complessa come quella dedicata a Sabato è un piccolo miracolo: io ci sento influenze piazzolliane ma anche una certa armonizzazione e sonorità del bandoneon che mi ricorda quella di Rovira con il suo tiro. Interpretazione esemplare, estremamente racchiusa nel tango e contemporaneamente libera da qualsiasi impertinenza retorica, erratica nell’aprirsi fino in fondo all’istinto, all’intuizione istantanea, al gusto vivo dell’emozione. "A DON ERNESTO SABATO" – Federico-Grela duo.
Gli anni che passano non appannano l’amicizia e la stima che Astor Piazzolla nutre per il suo niño grande Leopoldo Federico. Così nel 1981, quando Piazzolla è già divenuto una stella internazionale che si è stabilita a Parigi, invia la partitura di un suo brano all’amico Leopoldo, accompagnandola con una lettera dove si legge: “te envio este humilde homenaje a los dos grandes Pedro del bandoneon Maffia e Laurenz, a vos Gordo, que sos el solo que lo podrà tocar como a mi me gusta: Sos el unico que tiene esta musica!". E Leopoldo è stato l’unico accreditato esecutore testamentario: ci ha provato goffamente un asso del jazz come Richard Galliano, uomo a cui neanche la sua profonda sensibilità è riuscita nell’intento di convincerlo che a volte le passioni, anche le più brucianti, possono essere un tranello per un musicista e farle proprie nel proprio repertorio equivale a trasformarle in una ingannevole fata morgana. Così è successo alla sua versione di Pedro y Pedro, tristemente equivocata da un fraseggio improprio e dalla fatale torsione timbrica occorsa trasponendo il pathos originario sulla fisarmonica in luogo del bandoneon. E a proposito del bandoneon, sono convinto che nel gran teatro dei sognatori formato dall’aristocrazia arrabalera dei bandoneonisti sia perfettamente condivisa la coscienza che questo umile organetto tedesco, è una sorta di meta-strumento, quasi un personaggio che, “implica un elemento materiale trascendente il circolo magico dell’arte”, come scrive Adorno in merito alla grande poesia o alla grande pittura. E quando nel giardino dell’ascoltatore risuona solo la voce cangiante di questo mantice enigmatico, accarezzato dalle mani di Federico, possiamo cogliere tutte le più sottili sfumature. Lui sa mettere in evidenziare tutte le pieghe della schietta vocazione metamorfica di questo strumento che può sciogliere il suono in una nota di ferma purezza o renderlo concreto con un cluster brutale. A ragione Leopoldo Federico viene ritenuto “el otro bandoneón mayor de Buenos Aires”, che condivide con Troilo, indiscutibilmente il bandoneon mayor de Buenos Aires, l’attitudine verso opzioni di dolcissima esattezza, nell’espressione, nel suono, con diteggiature prodigiose che sembrano compiere l’esercizio ascetico del transfert tra musica e anima. Quella da cui sgorga la forza plastica del fraseggio; le nouances fluide e sicure che colorano le frasi; il “saber captar sentir y decir un tema” che rileva Horacio Ferrer. Così le interpretazioni solitarie acquistano il respiro iridescente di quelle veggenze irradiate dai versi di Novalis o dalle Illuminations di Rimbaud. Portatrice di queste forme, ombre e luci, l’interpretazione del tema affidatogli da Piazzolla sembra sovranamente libero dal peso delle idee per darsi in una nuda, spontanea verità. Ecco Pedro y Pedro, registrato nel 1981, l’anno in cui Astor lo compose….senza mai registrarlo neanche in futuro. E con questo tema vi lascio informandovi che il prossimo intervento sarà inerente al Leopoldo Federico che affaccia la sua monumentale statura fisica, umana e artistica nella prima decade del 2000, accolto come un idolo dai tanti giovani musicisti agli albori della loro vicenda nel tango, ma presi da un fervore che ha qualcosa di eroico in quanto li costringe ad una lotta complicata, in un ambiente disposto ad accoglierli solo accettando i compromessi del mercato con le sue cene show per turisti, le sue traballanti orchestrine che spacciano nel mondo cover mediocri e per giunta suonati in maniera francamente discutibile. Il disappunto o desencuentro dei giovani più capaci, tra i quali alcuni membri della sua orchestra, lo racconta benissimo Federico in una delle tante interviste che ha rilasciato nel suo ultimo decennio di vita, dopo aver speso oltre cinquant’anni a coltivare con risultati massimi la sua passione per il tango: “si mi carrera comenzara ahora estaría preocupadísimo porque no es lo mismo que cuando el tango estaba en su pleno apogeo, se trabaja de otra manera: ahora cada uno se autoproduce, en mi orquesta tengo cuatro o cinco músicos que tienen su propio conjunto pero no pueden decir ‘yo vivo del conjunto que tengo’”. "PEDRO Y PEDRO" – Federico solo.