Dopo lo scioglimento dell’Octeto de Buenos Aires e uno sciagurato tentativo di cercar fortuna negli Stati Uniti, Piazzolla ritorna a Buenos Aires, sempre infervorato da sogni grandiosi che sembrano poco conformi alla prosaicità del quotidiano. Ha ragione a farlo e a credere in se stesso. Formerà il Quinteto de Nuevo Tango iniziando una storia lunga e luminosa dal punto di vista artistico e, finalmente, anche da quello del successo che a piccoli passi e con qualche inceppo arriva a livello internazionale quando gli anni ’70 erano già decisamente inoltrati. Ma aldilà di queste considerazioni che sono alla portata di tutti anche con approfondimenti aneddotici che piace molto alle nostre casalinghe di Voghera e ai più impacciati tra i lettori polacchi, vorrei impostare un’altra tra le tante prospettive possibili, convergendo verso certe carezze ermeneutiche che ho fantasticato. Per l’esattezza, in questo intervento desidero presentarvi una sonata per violinsta che Astor non ha mai scritto. Mi spiego meglio. Ci sono quattro temi che Piazzolla ha dedicato ad altrettanti violinisti e che possono corrispondere ai movimenti di una vera e propria sonata, consentendo di ascoltare gli immensi violinisti che sono stati al suo fianco e di ricordare quelli a cui le singole pagine sono dedicate. Astor è stato sempre molto esigente con la scelta dei violinisti in quanto imprescindibili interlocutori e quindi necessariamente di una statura musicale che doveva essere alla sua altezza, non facendo cadere la tensione quando, secondo le regole che guidano la struttura di un arrangiamento, sarebbe toccato a loro assumere il ruolo di protagonisti. Certo, Piazzolla sapeva valorizzare al massimo anche il pianoforte e addirittura esaltare il virtuosismo dei suoi contrabbassisti scrivendo brani ad hoc per loro, ma il violino è stato sempre il suo preferito perché nessun’altro strumento poteva valorizzare come lui quei momenti di estasi musicale che in ognuna delle sue oltre mille composizioni ha saputo ideare. Momenti di lirismo incastonati come pietre preziose nell’oro di pagine che stavano acquisendo una fisionomia strutturale estesa, allontanandosi dai semplici canovacci del tango della tradizione. Piazzolla preparava loro un terreno perfetto dove la pulsazione del ritmo rallentava o persino evaporava con un dépouillement che sottolineava la funzione iperespressiva dei silenzi. Una specificità piazzolliana per quel che riguarda i procedimenti di contrasto tra le sezioni di un brano, e il transito da momenti di fervore infuocato che come direbbe Artaud ha “il suono sconvolgente della materia”, a parentesi lievissime dove la potenza evocativa del violino può essere esaltata solamente da solisti eccelsi . Due e grandissimi li abbiamo ascoltati nella puntata precedente, Hugo Baralis primo violino della tipica di Piazzolla e secondo violino nell’octeto, e Enrique Mario Francini un fuoriclasse assoluto che ha costellato di bellezza tutta la sua carriera sviluppatasi da MIguel Calò alla orchestra coodiretta con Armando Pontier, dalla sua diretta da leader al Quinteto Real di Salgan, da Piazzolla al suo sexteto degli anni settanta e fino all’ultimo minuto della sua vita; quello che forse tutti i musicisti sognano: morire improvvisamente mentre si suona su un palcoscenico. A lui è capitato proprio al Cano 14, si dice mentre stava suonando Nostalgias. Dopo questi due fuoriclasse, quando nel 1960 Astor deve scegliere il violinista per il suo fiammante Quinteto de Nuevo Tango, riesce, se è possibile, ad ingaggiare uno strumentista ancor più celestiale di quelli che ho nominato. Un ebreo polacco-argentino che si chiamava Szymsia Bajour e probabilmente neanche Piazzolla si è accorto della grandezza di questo partner straordinario. Forse non ne ha avuto il tempo perché la sua partecipazione al quintetto è stata meteoritica perché in quel momento Simon (era chiamato anche così per semplificare quel suo nome di battesimo impronunciabile) era chiamato dalla sua militanza. Dopo aver registrato per primo una versione sublime di Adios Nonino, nel febbraio del 1961 si presenta in studio con le valigie, registra Calle 92 e corre direttamente all’aeroporto. Destinazione Cuba per dare sostegno alla rivoluzione di Fidel come poteva: suonando. Questa militanza ebbe una grave ripercussione durante la dittatura di Videla perché fu inserito nel novero di persone segnalate nella cosiddetta “Formula 4”, vale a dire l’elenco dei soggetti in aria di ideologia marxista. Ben lo sapeva Pugliese che militava con lui nel Partito Comunista Argentino e quando fu invitato per una tournè in Cina e Unione Sovietica, colse l’occasione per invitarlo a propria volta. Come dicevo all’inizio, incrociando strumentisti virtuosi e brani piazzolliani dedicati ad altri violinisti virtuosi, la nostra sonata fantasma potrebbe partire con un allegro: Decarisimo che Astor ha dedicato a Julio De Caro. L’interpretazione di Bajour è personalissima e molto diversa dalle impostazioni che assumeranno le versioni di Vardaro e di Suarez Paz. In sostanza, nessuno dei tre segue alla lettera l’assolo di violino scritto da Piazzolla, aggiungendo ognuno elementi diversi che caratterizzano il brano con il loro stile. E’ sorprendente come un violinista classico come Bajour sia elastico nel recepire il fraseggio del tango e soprattutto nell’essere totalmente a suo agio quando deve trasformare il suo strumento angelico in una rozza percussione che produce il suono sgradevole della chicharra. Il secondo violinista di cui vi voglio parlare è Elvino Vardaro, il creatore del fraseggio violinistico nel tango e maestro di tutte le diavolerie percussive che ha introdotto in maniera volutamente esagerata il sestetto decareano. Piazzolla adora da sempre questo gentiluomo piccoletto. Ancora poco più che un ragazzino, con la sua sfacciataggine innocente, Astor gli scrive una lettera d’ammirazione informandolo che lui era un bandoneonista. Quando nel 1962 per varie vicissitudini il quintetto ha il posto di violino vacante, con alle porte un tour negli Stati Uniti e l’incisione di due dischi gli riscrive: “maestro solo lei può salvarmi”. E Vardaro lo salva partecipando a tutte le attività che Piazzolla gli aveva proposto, adattandosi magnificamente alla scrittura di arrangiamenti che lo proiettavano in un’epoca che non era più la sua. Elvino li interpreta in scioltezza con il colore puro del suo suono antico ed elegante, centrando lo spirito nuovo con quel modo di fraseggiare che bandiva qualsiasi dispersione decorativa. Quando Elvino viene a mancare, Piazzolla scrive alla sua memoria una delle pagine più intense di tutto il suo immenso catalogo. La intitola Vardarito e vi incide, come un’orefice demiurgo, melodie che racchiudono un memoriale doloroso, contrapponendole a una sezione serena e piena di energia vitale, in un’alternanza continua fino al finale che sembra trascendere il linguaggio della musica, per farsi pulviscolo sospeso in una sorta di assenza di gravità. Insomma il dramma della perdita e il ricordo sereno di un’artista con cui è riuscito a condividere il palcoscenico. In questa incisione realizzata dal nonetto, il secondo violino è il fedelissimo amico Hugo Baralis che aveva ricoperto la stessa posizione anche con Vardaro, mentre il violino solista è a carico del rosarino Antonio Agri, che al contrario di Baralis, Francini e Bajour, assolutamente autodidatta. E’ comunque un musicista di qualità stellare: pensate che in questa occasione suona con uno Stradivari prestatogli da Salvatore Accardo ed è una gentilezza riservata agli stimatissimi se non agli idoli. Vardarito, farà parte di un disco che Piazzolla intitola emblematicamente per indicare la sua musica con un’etichetta differente da quella di Tango. Sceglierà: Musica Popular Contemporanea de la ciudad de Buenos Aires. Lo immaginiamo come il secondo movimento della nostra sonata che definirei un adagio. Ora torniamo due anni indietro, nel 1970. Buenos Aires, Teatro Regina. Astor con il suo quintetto è chiamato ad una prova che nessuno nell’ambito del tango aveva mai sperimentato: la registrazione di un LP dal vivo. Piazzolla un po' ingenuamente si spoglia della sua egolatria e lo confessa al pubblico durante la presentazione della serata, manifestando il peso e l’emozione che lui e i suoi colleghi sentono per questa inedita responsabilità. Si augura che il quintetto suoni bene. Ma il quintetto suona ancora meglio e la testimonianza discografica di quella serata è una silloge entusiasmante che raccoglie nell’arco di un pugno di minuti la straordinaria storia passata, presente e futura di questa mitica formazione. La relazione tra i musicisti nello spazio d’utopia in cui gravitava la loro musica è per così dire una palestra di verità telepatica dove i cinque seguono una partitura invisibile leggendo l’uno nell’altro. Raramente convergono con tanta precisione la musica immaginata e la vita vissuta, itinerario ideale e risultato reale. Il pulsare del cuore è unico, la respirazione anch’essa è all’unisono, tutti i 75 miliardi di cellule che compongono l’organismo di ognuno dei musicisti vibravano in congiunta armonia. L’energia si sprigionava in tutti i suoi mulinelli di forme e colori con “uno schianto carnale che apre il volo a fiori di fuoco” (Ungaretti); la scelta dei tempi d’esecuzione esalta lo swing travolgente di tutto il quintetto. E poi gli adagio, passi di un languore infinito che incantano per la loro grazia interiore, per l’immedesimazione nelle minuscole miniature sonore di cui sono composti e per l’infallibile felicità melodica dell’autore: si è travolti dalla commozione o si è travolti dalla commozione. Non c’è scampo. E in questa formazione Piazzolla aveva con se oltre al monumentale contrabbassista Kicho Diaz, al chitarrista Malvicino che al contrario del suo impiego esposto a un costante impegno solistico nell’Octeto de Buenos Aires ha ora un ruolo solo armonico, percussivo e timbrico, al grande pianista di tango Osvaldo Manzi, un violinista con suono, intonazione, fraseggio, intensità emozionale che hanno la precisione e la leggerezza propria degli dei più benigni: Antonio Agri. A lui toccherà durante quella serata al Teatro Regina, avere il ruolo da protagonista anche nel brano molto articolato e inerente a questa storia che vi sto raccontando, sulla relazione tra Piazzolla e i violinisti. Il tema è dedicato ad un violinista che Astor amava particolarmente e che appena poteva correva ad ascoltare nei locali dove suonava con la sua orchestra straordinaria ma effimera, anche perché nella sua breve vita ha lasciato solo una manciata di incisioni, un numero certamente inversamente proporzionale rispetto all’apodittico valore degli arrangiamenti e delle esecuzioni. Sto parlando del Violin Romantico del Tango, Alfredo Gobbi che si è guadagnato questo soprannome per le sue gesta come strumentista ma ancor di più per come ha orientato le sue vicende esistenziali che molto, troppo presto gli hanno presentato il conto precipitandolo in una catabasi finale. Il titolo della composizione è Retrato de Alfredo Gobbi ed a mio avviso vale la pena di citare Baudelaire quando parla di “alto catechismo di estetica”, in questo caso piazzolliana. Naturalmente ci sarebbe da scrivere pagine e pagine solo sulla preziosa fattura musicale di questa pagina che ho selezionato come terzo movimento. Nel 1978 Piazzolla riforma per la seconda volta il quintetto con un organico nuovo che durerà 11 anni ed il pieno successo internazionale. Sono con lui il pianista Pablo Ziegler, il rientrante Horacio Malvicino, il contrabbassista Hector Console e un altro prodigioso violinista, Fernando Suarez Paz che oltretutto aveva una memoria musicale veramente fastidiosa agli occhi del leader. Tra i due c’era sempre un’atmosfera di sfida che era il prediletto da Astor, ma che a volte sfociava in discussioni. In un’occasione, per far capire la gerarchia a Suarez Paz, Piazzolla prende le distanze confezionando una sentenza a cui era impossibile replicare. Gli dice: “ricordati che qui al massimo tu sei Lepera mentre io sono Gardel!”. In questo clima, per mettere alla prova le doti mnemoniche del violinista a cui bastava leggere qualsiasi partitura una volta, per saperla a memoria, Piazzolla gli dedica un brano che secondo la sua opinione è impossibile da ricordare istantaneamente. Il giorno prima di inciderlo consegna la partitura a Suarez Paz, convocandolo alla mattina dopo per registrarlo. Ebbene ancora una volta Suarez Paz impara a memoria questo tema molto virtuosistico che ha come protagonista il suo strumento e la mattina dopo lo suona perfettamente e senza spartito sotto gli occhi e le orecchie increduli di Astor! Questo brano si intitola Escualo ed è costruito sulla clave del candombe che questa volta entra nel tango proprio come ritmo. Con questo movimento allegro con brio il gioco dell’immaginaria sonata per violinisti si conclude. Si potrebbe costruire una vera e propria serie di interventi come questo per completare il percorso nella variegata musica di Astor, ma già dai due che gli sono stati dedicati, è lampante come la sua opera musicale sia stata uno straordinario polo attrattivo d’ispirazione per tutti i musicisti che hanno continuato a scrivere la storia del tango dopo la sua scomparsa nel 1992. Velocemente, segnalo alcune circostanze, varie e indispensabili per completare seppur marginalmente il corredo di informazioni sull’opera di Astor Piazzolla. Primo punto: introduzione della fuga che è una tecnica compositiva di origine barocche. Secondo punto: la creazione di una nuova interpretazione del tango cancion, per struttura e temi trattati nelle letras quasi tutte realizzate da Horacio Ferrer a partire da La balada para un loco. Terzo punto: il tentativo di scrivere una composizione articolata in vari temi per essere inserita nei quadri sciolti di una operita intitolata Maria de Buenos Aires, nata con il libretto di Ferrer come esperimento radiofonico e cresciuta, dopo la morte del suo autore, per comparire nelle stagioni dei più importanti palcoscenici del mondo in forma teatrale: quando nel sessantotto l’aveva presentata lui stesso, seppure in forma di concerto, affittando la Sala Planeta di Buenos Aires, fu un fallimento economico che lo costrinse a vendere l’automobile per far fronte alle spese di produzione. Quarto punto: ideazione di composizioni che nell’ambito classico vengono definite “a programma”, e riguardano una serie di numeri concepiti come parti di uno stesso corpo. Tutti conoscerete Las Cuatro Estaciones Porteñas, immaginate come le quattro stagioni vivaldiane; la suite dedicata ad Anibal Troilo; il ciclo di composizioni dedicate all’angel e quelle dedicate al diablo; il balletto Silfo y Ondina articolato in tre brani, e così via. Punto cinque: la scrittura di opere sinfoniche in cui spesso figura il bandoneon come solista. Punto sei: diverse partiture da camera per organici molto differenti, tra le quali quelle per bandoneon e quartetto d’archi che ha inciso con l’eccellente Kronos Quartet nel cd intitolato Four for Tango. Punto sette: la riesumazioine di uno strumento che ha fatto fare i primi passi al tango e che è praticamente scomparso dagli organici strumentali con l’arrivo del bandoneon, il flauto che è la voce principale dell’opera Historia del Tango, suddivisa in quattro movimenti e con l’accompagnamento della chitarra, strumento primigenio di questa musica. Punto otto: formazioni sperimentali come l’Octeto Electronico del 1975. Punto nove: la collaborazione con celebri jazzisti inclusi in programmi che prevedevano le sue composizioni: Gerry Mulligan e Gary Burton. Punto dieci: una nutrita attività nella realizzazione di colonne sonore per il cinema. Punto undici: un’esperienza che ha affiancato Piazzolla a Borges, scontentando tutti e due; Piazzolla perché ha dovuto comporre solo milongas ad eccezione di Il Tango, pagina letteralmente tagliente; Borges perché nella musica di Piazzolla non riconosceva quegli elementi archetipici che per lui erano gli unici ad essere legittimi. Punto dodici: il lavoro di arrangiatore oltre che per Troilo anche per altre orchestre e diversi direttori hanno interpretato alcune sue opere magistralmente, come Osvaldo Pugliese con le sue splendide versioni di Zum, di Bando, di Balada para un loco strumentale e della straordinaria Verano Porteño. Un dodecalogo tra i cui punti esiste una specie di ipertestualità che fa dialogare le composizioni di Piazzolla tra di loro, attraverso una costellazione di rimandi concettuali e musicali che colgono l’obbiettivo euristico di rivelazione e rivendicazione dello stile con tutti i meccanismi della sua verità.
20 luglio 2020
Sonata per violinista e quartetto di tango
di Franco Finocchiaro
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