Buenos Aires 1995. Un gruppo di vecchi milongueros si ritrova ogni martedì pomeriggio al Caffè El Escabio per ricordare i bei tempi, come se loro li avessero mai visti, i bei tempi. La città sta cambiando velocemente, c’è la valanga turistica, è tornato di moda il tango milonguero e quei veterani si sentono chiamati in causa. Decidono di mettere nero su bianco le loro gesta, di compendiare le esperienze, il sapere che gli viene da molti decenni di milonga in un libriccino intitolato ”Le conversazioni del Escabio, Prolegomeni del Tango Milonguero”. Tra di loro ce n’è uno che si fa chiamare Borges, quasi come lo scrittore. E’ qui per parlarci di una favolosa milonga dell’epoca d’oro. Lui c’era, all’inaugurazione, ed è scampato solo per poterla raccontare.
In un mio scritto di qualche anno fa, respinto con il solito entusiasmo dagli editori e
successivamente apparso su una raffinata pubblicazione che ebbi l'indulgenza di
finanziare, dirigere e distribuire agli angoli delle strade, avallavo senza riserve la
tesi di Zevasco, secondo la quale la storia è un atto di fede. Nulla importano gli
archivi, le testimonianze, l'archeologia, la statistica, l'ermeneutica, i fatti stessi: la
storia compete solo alla storia, definitivamente arte, scienza pura.
Lo storico vivifica, esalta, accentua le tinte e alla stesso tempo sgombra il campo
da ogni esitazione e da ogni scrupolo. Conviene una sconfitta militare a una
nazione di patrioti? O una stroncatura al cesellato curriculum di una vedette?
Chiaramente no. Le controversie sulla versatile nazionalità di Carlos Gardel stanno
dunque per finire. Nello stesso modo riacquisteremo, e senza perdere un solo
argentino, la calotta polare e il suo inalienabile arcipelago. L'origine postribolare
del tango sarà presto una verità protetta da una multa.
I divoratori di rotocalchi apprezzeranno senz'altro l'applicazione del sistema
Zevasco ai fatterelli di tutti i giorni, quelli che riguardano la vita in pantofole, per
dirla con Rivero, che meglio si prestano all'edificazione di un passato conveniente.
Forte di questa convinzione e galvanizzato dall’identità di vedute con il collega che
mi ha preceduto nel formularle, mi accingo a convocare dal decennio dorato i
protagonisti di un'epopea dimenticata, alcuni dei quali sono ancora qui seduti sui
prestigiosi sgabelli offerti da Cinzano.
La duttilità del metodo non esenta il cartografo gobbo dalla sua innata precisione.
L’anno era il 1956, la data il 27 marzo, le condizioni atmosferiche sereno, asciutto,
leggermente ventilato, temperatura 25 gradi, sensazione termica 28. Il luogo? Il
sobborgo di Boedo, proprio di fronte al penitenziario. L’occasione?
L'inaugurazione in grande stile della Milonga Boulevard, ex Meglio Qui Che
Dirimpetto Tango Club.
Ancora oggi non riesco a pensare a quella sera felice senza alzarmi in piedi,
togliermi il cappello e zampettare avanti e indietro come fa il Mayoral nella
Mariposa. Al di sopra dei nostri ciuffi impomatati con Glostora, tremava lucidissimo
il cielo stellato della notte porteña, e noi della gang Jeunesse Dorée di Florida
vibravamo all'unisono con la tentacolare metropoli. Milongueros come pochi, nelle
nostre vene il tango scorreva come l'acqua nelle tubature, cioè in modo del tutto
incontrollato. Ogni volta, per esempio, che la Tipica di Ginastera attaccava “Prete
Strabico” per l'ufficiale del censimento era un regalo: gli bastava contare gli uomini
che ci volevano a trattenerci dallo scendere in pista, per conoscere l'esatta
popolazione del quartiere.
In quell’occasione eravamo più euforici di una cooperativa di stercorari con del
nuovo materiale per le palline puzzolenti. Fino a quel giorno, infatti, non ci eravamo
mai spinti oltre le pareti dell’ermetica Confiteria Richmond, varcate le quali ci
attendevano le inimmaginabili attrattive inerenti l'elemento femminile, da noi
introvabile.
Il Comitato Esecutivo, riunitosi in sessione plenaria alle 16.30, aveva preso in
considerazione i rischi della spedizione. Era ovvio che al vedere il non plus ultra del
firulete danzare con le ballerine di loro utenza esclusiva, i ragazzi di Boedo ci
avrebbero di certo cointeressato nelle vistose arti marziali di cui erano divulgatori,
scartando ogni altra alternativa, compreso quella da noi promossa, di un rendezvous bonaccione intorno a una bottiglia di champagne Curdón Rouge, che a noi
milongueros ci affratella più della Cumparsita di D'Arienzo.
Ernesto Caso Umano attirò l'attenzione dell'assemblea sulla nocività di una scelta
precipitosa. L'intervento risultò vano e persino offensivo: i Giovani Dorati di Florida
si fanno beffe dei pericoli fuori mano. E poi, come dice la pubblicità del purgante
Tre Passi, che male fa una macchia in più al giaguaro, sghignazzavamo. Così
votammo come un solo uomo la bellicosa mozione di trasferta.
Nel medesimo pomeriggio ci furono le prime defezioni: il Gordo Soriano optò per
tornarsene in Lapponia, nel senso di gelateria, mentre Leopoldo Maresciallo, che
alla coerenza ha sempre anteposto la sua incolumità fisica, si dimise per iscritto
alle 17 precise. E non era ancora passata un’ora dalla votazione che Speedy
González-Tuñon, impaziente di respirare a pieni polmoni i profumi del suburbio, si
era già affrettato a raggiungere Parigi in aviogetto. Devo anche ammettere che
l’elisione di Lugones dalla lista vip non sarebbe avvenuta se non avesse preteso a
tutti i costi d’indossare quella cravatta da sempliciotto, oltretutto identica alla mia.
A partire da questo momento, la vicenda, come le regie contemporanee, procede
a immagini discontinue. Ne inquadro subito il protagonista: allo scoccare della
mezzanotte, mimetizzato nei bidoni della spazzatura, un romantico milonguero
proveniente da Florida studiava la situazione di fronte all’ingresso della Boulevard.
Quel seguace di Marlowe e avversario di Paco Rabanne altri non era che, sì señor!,
il vostro relatore. Silenzioso e inafferrabile come il Capitan Nemo elaboravo una
nuova strategia dopo la battuta d’arresto che l’ingannevole realtà mi aveva
imposto. Durante il tragitto sul 65 avevo articolato un piano in quattro punti:
Punto A: Ingresso alla milonga preceduto da uno zuppa tucumana, orgoglio del
bistrot letterario El Puchero Misterioso
Punto B: Vidimazione del diploma di Ambasciatore dell’Accademia Nazionale del
Tango e relativo lasciapassare, acquistati a un prezzaccio dal titolare
Punto C: Schiacciante supremazia della mia Sequenza Babilonese nel concorso di
Tango Exibición
Punto D: Uscita trionfale dalla milonga
Ma gli Dei Superni, che sempre dispongono diversamente dei piani dei loro affiliati,
rettificarono l’ordine dell’arbitrario alfabeto umano, facendomi passare
direttamente dal punto A al punto D. A un esame ravvicinato, le mie credenziali
erano infatti risultate apocrife.
La perizia era stata contestualmente trasformata in provvedimento d’espulsione,
eseguito a pedate dal persuasivo Monk Eastman, che la nuova gestione aveva
ingaggiato come guardapista, allo scopo di dirimere le diatribe che fossero
eventualmente affiorate tra i milongueros di Boedo.
In quegli anni non erano pochi i reduci della Guerra Mondiale a ritenere che a
paragone di certe milonghe il conflitto era stato un pic-nic. E uno sguardo, una
parola, una mazzata cartesiana di Monk Eastman, erano sufficienti a pacificare i
recidivi che in barba al Galateo Penale continuavano a ballare sbatacchiando di qui
e di là come aquiloni malfatti.
Ma torniamo all’esterno: è noto che le prodezze di cui a volte siamo capaci non
sono mai confortate dalla presenza di testimoni oculari. Il sottoscritto, sospinto dal
propellente Eastman, planò in un festoso scompiglio di coperchi e bidoni nichelati
giusto nel momento in cui la crème della crème del tango terminava di assieparsi
al gran completo sull’opposto marciapiedi. Dalla mia posizione di cartoccio
urbano, ora potevo osservare i movimenti del Pantheon Milonguero.
Lo spauracchio della biglietteria rallentava notevolmente la processione: anche
allora le svanziche, solo a nominarle, provocavano secrezione di colla dalle dita dei
milongueros.
I Barrabrava di Pompeya già propendevano per il ritorno al di là del Riachuelo.
Hernández e Güiraldes erano spariti con la scusa di parcheggiare il trattore.
Scrocco Gombrowicz ripeteva la coreografia di frugarsi nelle tasche davanti agli
insensibili bagarini del ministero. Le sorelle Ocampo, regine della milonga
franelera, solcavano l’asfalto avanti e indietro come scopatrici stradali.
Ma nessuno quella sera ci teneva ad essere notato tra gli assenti. Anche le
ballerine della Storni, di solito murate nella virtù come nel calcestruzzo, erano lì,
pronte alla disobbedienza. E con lo sporgente aplomb dei Keystone Cops erano
arrivati in taxi persino gli Accademici del Lunfardo, per una volta snidati dal Caffè
Tortoni e diretti a una milonga, Dio sa con quali mire. Rimane il mistero di come
siano riusciti a spiegarsi con l’autista, con i loro termini così autentici.
Dal canto mio, con gli occhi allungati dal desiderio come quelli dell’aragosta,
spiavo le mosse di Estela Kantor. L’ammaliante visione di quella sacerdotessa di
Tersicore, parzialmente attenuata dalla riproposta tucumana, mi spingeva a seguire
ciò che l’istinto andava deliberando: azione. Avrei affrontato un canile di molossi
pronto a sbranarmi per una tanda di milonga con lei. I colleghi comprenderanno,
soprattutto quelli con la lingua fuori: vederla, ti toglieva il sonno.
Strisciai dunque come un lumacone fino a una porticina laterale, tutelata da
un’elementare serratura Yale. Mezz’ora dopo saettavo come un raggio di luce
attraverso una finestra smerigliata che il personale aveva lasciato aperta. Atterrai
com’era logico aspettarsi in un bagno bianco di marmi. La Direzione aveva fatto le
cose in grande, c’erano tutti i componenti sanitari, anche se l’imprecisa clientela
della Boulevard ne aveva fatto un uso improprio, a giudicare da quello che
galleggiava nel lavandino.
Dalla fessura sotto la porta filtravano le piatte armonie della Tipica di Walter Piston
impegnata nel tango-milonga “Weltanschauung porteña”.
Era arrivato il momento di entrare in scena.