Siamo nel 1956, un anno che non ha bisogno di presentazioni. Due casate di pari lignaggio e destino, ma per astio milonguero opposte l’una all’altra come Boedo e Florída, stanno per affrontarsi nel concorso di tango della Milonga Boulevard. Borges, un milonguero della banda Richmond, dopo un primo respingimento finito nel pattume, riesce a introdursi di nascosto alla milonga. La serata è fatidica, c’è tutta Buenos Aires, il salone è gremito come un sottomarino di sabato sera, la Tipica di Walter Piston è una macchina di fuoco. Borges, beccato senza biglietto dal guardapista, viene trascinato in Direzione con il braccio torto dietro la schiena. Qui l’aspetta un’amara sorpresa: il suo amico e compagno Piola Casares ha tradito Florída ed è passato alla fazione avversa. Ma non è tutto: rinfacciandogli la stroncatura di una sua coreografia ispirata, o forse provocata, dall’infernale Verano Porteño, Piola Casares sfida Borges a deporre chiacchiere e distintivo, e a farsi valere in pista, davanti a una giuria forse imparziale. Borges accetta e torna nel salone dove tutto è ormai pronto per lo show-down. L’amarezza gli pesa più di un passeggero.

La notte aveva preso quota. Il salone era un catino roteante di luci, di paillettes, di brillantine. Gli specchi girevoli moltiplicavano come copule il numero dei milongueros. L’estasi sferzava la pista a mareggiate, i ballerini ondulavano come girasoli d’oro. O milonga felix dei bei tempi, tinozza ribollente d’anime, kolossal del barrio porteño, cuore segreto del mondo! Il tango faceva la sua volontà su di noi, ci medicava le ferite oppure ce le infliggeva: com’era facile vivere ogni ora!
Intanto l’orchestra di Walter Piston governava lo squasso con tande appropriate: riconobbi Webern, Athos Palma, il maestro Gambara. Ma io no, non ero ancora in me, avevo appena attraversato il campo dell’infingardo e la vigna dell’uomo privo di compassione. In altre parole, dovevo bere. Con la somma di cinque bibite abbandonate, mi feci un Rejuntadito, il cocktail del milonguero, e cercai Estela nella calca danzante.
- Io i traditori li ho destinati a un sepolcro di fuoco - disse una voce da reo confesso.
Davanti a me si stagliava l’insolenza di Dante Alighieri Linyera, il vate di Boedo, poeta aulico e laureato, nonché allibratore e quinielero.
- Dante, lei mi delude, non mi dica che stava origliando come un ghibellino - lo apostrofai.
- Origliare io? Ma per chi mi prende, Borges. Quelle pareti, basta appoggiarci l’orecchia e si sente tutto. Il Piola Casares è un buon ballerino, come dice lui stesso. Glielo do piazzato tre a uno. Il picchetto paga cinque. Trentadue se vincitore. Il Frate alla pari. Media, tre con trenta. La martingala va separata. Se viene la guardia, lo rabbonisco io con un chamuyo opportuno, non so se m’interpreta.
- Eccome se l’interpreto. Ma i consiglieri fraudolenti non li aveva messi nelle Malebolge? I gironi di pietra, il color ferrigno… - lo canzonai.
- Quelli erano i simoniaci e i barattieri. Ma non se n’è mai visto uno, in questa repubblica paradisiaca. Senta: la sua petulante assenza alle mie letture poetiche per me vale meno di una sega di sinistro, non so se m’interpreta. E’ il mio editore che ci sta male. Venga una volta, almeno, che così gli finisce la quaresima. Dia retta al vaticinio: Piola Casares, tre a uno piazzato. Regalone.
La cortina di folk demenziale e il deflusso simultaneo dei ballerini verso i tavoli marcarono l’entrata del presentatore. Un occhio di bue si accese in pista, centrando in pieno la prudente statura di Polpetta Le Fanu dell’Università di Buenos Aires, il Pee Wee Marquette del tango, detto per concisione La Mezza Carogna. Il denaro non interferiva con i suoi principi, gli artisti lo pagavano solo perché al momento della presentazione si ricordasse il loro nome.
- Signore e Signori. Immagino che questo appellativo generico copra la maggior parte di voi. Stiamo per dare il via alle attrazioni internazionali di stanotte. Poi ci sarà il concorso di tango esibizione. Comportatevi bene e vi garantisco che questo sbattimento finirà presto, così potrete tornare a ballare, se quello che fate è ballare. Vediamo un po’ chi abbiamo in lista…
Alzò lo sguardo verso i camerini dove un tizio col turbante gli fece segno con tre dita, senza alcun entusiasmo.
- … Chas Canasta, il mentalista, che piegherà le vostre forchette a distanza.
Seguirà…
Un magrolino coi capelli rossi alzò tre dita anche lui.
-\ Saltarín Higgins, autore di balzi famosi, vedrete come salta quest’irlandese. E in ultimo…
Uno vestito da Garibaldi restò immobile, ma aveva già il palmo aperto.
- Monsieur Tussaud, il mimo statico. Più fermo degli assiomi. Gli hanno proibito l’ingresso al Museo delle Cere, quando fanno l’inventario. E ora tributate ai nostri artisti un’ovazione degna delle vostre manone di ferro.
Durante le performance internazionali non avevo perso di vista un solo momento la mia fortunata partner. E anche lei, a onor del vero, non mi aveva mai staccato gli occhi di dosso. Era chiaro che la presenza nel locale del leggendario Borges di Florída non era passata inosservata e la mia fama stava serpeggiando tra i tavoli come il badecco tra le Orpington Leonado.
Con il solo ausilio degli occhi, comunicai a Estela il titolo del mio tango preferito e le modalità del nostro incontro in pista. Non fu facile mimare “Prete Strabico” senza sembrare un mentecatto. Nella foga oftalmica degli sguardi convergenti c’era stato un errore balistico e avevo attirato l’attenzione di una milonguera a sensazione termica 120, seduta giusto a fianco di Estela. Lei invece con una serie di occhiate alla Bette Davis, mi segnalò la sua predilezione per la milonga Cataratta Essenziale. Les yeux son faits, mi dissi, e veloce come uno scippatore andai a iscrivermi con il nome di mio nonno. E adesso sbaglia pure, Mezza Carogna!
- Diamo ora inizio alla gara. Prego i concorrenti di scendere in pista. La tanda eliminatoria prevede il tango lacustre di Canaro suonato all’incontrario, tanto non fa differenza. Può rinunciare il tango al suo messaggio satanico?
Ricordatevi, è permesso tutto ciò che non è vietato dal Galateo Penale, che vedete appeso là. Leggete anche le clausole in piccolo. Chi sgarra verrà riportato alla ragione da Monk Eastman, che qui saluto gratis.
La puntualità dell’allacciamento in pista con Estela sembrò preordinata da secoli, come il passaggio di una cometa o un’eclissi. Eccola finalmente tra le mie braccia, concreta come una limousine, bella da guidare che sembrava svenuta, docile come l’ombra.
Nei quarti di finale i ritmi belluini di D’Arienzo non ci impensierirono, e nemmeno il Tangazo di Pancho Stravinsky, che detto tra noi è uguale sputato a Oye Como Va.
In semifinale, nei ditirambi dionisiaci di Troilo surclassammo Martinez Estrada, il pantografo della pampa. Il suo stile “colectivo lleno”, con braccio alto a parafulmine, poteva anche piacere tra i campagnoli, ma qui nella capitale i milongueros li lasciava apatici. E per fortuna anche i giurati.
Una gragnola di applausi accolse come ghiaia il ritorno del maestro di cerimonia.
- Signore e signori, ci siamo: abbiamo i finalisti. Lasciatemelo dire, due eccelsi finalisti, due eruditi, due fenomeni, li conosco fin dai tempi del riformatorio, due volpi che condividono un unico pseudonimo e che sono pronti a ballare per voi senza spendere un solo dannato centesimo, due ammirevoli, grandiosi taccagni che certo rispondono a un loro nome, qualunque esso sia, ma che qui si presentano sotto le identiche e mentite spoglie di… Honorio Bustos Domecq!
Quando Barletta attaccò l’introduzione di bandoneón di “Autopsia tanguera” con i suoi tipici arpeggi che tanto assomigliano al pasticcio che fa lo scimpanzé con la macchina da scrivere, mi parve di cogliere un fremito d’emozione nella platea: un milonguero di Florída stava per insegnare due o tre cosine alla bisunta élite di Boedo. Il pathos si tagliava col coltello.
Nei pochi metri che mi separavano da Estela applicai, come Grock, infinite variazioni d’assetto con eleganza di felino, mentre la mia compagna mi camminava intorno, fluida come il mercurio dei termometri.
Per impressionare subito la giuria partii con i ganci Whitman-Carlyle a ripetizione, combinati con l’integrale serie talmudica di ocho rovesciati. Le gambe di Estela, inguainate da Dior, erano il compasso di seta che misurava tutto il mondo a me conosciuto.
Dall’altra parte della pista il damerino Casares ripassava a fondo il pavimento con la sua camminata sciistica. Ogni tanto si fermava per consumare uno stantio sandwich di Morel, abbellito, si fa per dire, dagli adorni a “pito muerto” di Silvina che sembravano volersi disfare di una fastidiosa ciabatta.
Nel primo ritornello c’infilai il mio triplo arrocco, proseguendo a tutto gas con il gambetto di Averroé e l’apocalittico passo Swedemborg, spolverata, lustrata, forbici e pettinata. Poi lo schema detto della Bombonera con chilena, marianela e rabona. Estela completò le mie prodezze con i voléo e gli abanico calibrati per lei dalle mirabolanti officine Petróleo. Nella variazione mi riconfermai nella difficile Serie Cabalistica edita a Londra nel 1886 che culminò negli istrionici fuochi d’artificio della Sequenza Babilonese.
L’abituale modestia che contraddistingue il milonguero de ley vieta di riferire le apoteosi. Molteplici mani applaudirono il vincitore; alcune di esse, tra le quali riconobbi quelle pelose di Monk Eastman, lo separarono dal blocco scultoreo della posa Guidarello. Seguirono il trionfo, gli ip-ip-ip hurrà, la locomozione a spalla attraverso tutto il locale, cantine e corridoi compresi e l’entusiastico lancio in direzione Plutone. Tutto si può dire di Eastman tranne che non fosse un funzionario preciso: atterrai nello stesso festoso scompiglio di coperchi e bidoni nichelati che i miei ascoltatori già conoscono.
Quando, illeso, mi rialzai, il cielo sopra Buenos Aires era una repubblica di luci e l’aria profumava dei capelli di Estela. Anche a distanza di anni, signori miei, posso confermarvi che ballare con Estela Kantor era stato come ballare con i fiori, con il vento, con la primavera, dopo un inverno passato in sanatorio a tossire con gli altri tubercolotici.
Un’accurata rassegna personale comprovò che la mia totalità e la giacca che mi aveva noleggiato Polpetta contavano ancora sul futuro.
Lo stesso non poteva dirsi del tango: quella notte prodigiosa marcò un confine epocale. Proprio lì, davanti alla milonga c’erano Pito Faez & I Suoi Reietti della Recoleta, giubbotti di cuoio e Gilera truccate. Dal loro transistor uscivano le note di Heartbreak Hotel, l’hotel dei cuori infranti dove ci sarebbe stato posto per tutti, tranne che per noi milongueros. Il nostro avvenire era già avvenuto. Sono solo, baby, così solo che potrei morire.
Dal fondo oscuro dell’Avenida San Juan salpò il vascello illuminato del colectivo che mi avrebbe riportato alla Richmond.
A quel punto mi congedai, fischiettando un tango il cui nome non voglio ricordare.