Non molti anni fa c’erano degli Indiana Jones del tango che si erano lanciati all’inseguimento della favolosa vertebra mancante tra Osvaldo Pugliese e Astor Piazzolla. Negracha non bastava, cercavano qualcosa di meno scientifico, qualcosa che spiegasse l’evoluzione, o addirittura lo spillover, il magico salto di specie dal tango di Pugliese al nuevo tango di Piazzolla. Al loro Congresso di Musicologia Pleonastica del 2007 non potei partecipare, per impegni presi successivamente, ma mandai un telegramma che mi costò come un incendio. Questo:

No. Stop. Non cercate vagheggiata vertebra a Buenos Aires. Stop. Non cercate tra lo schioccare di pallottolieri delle orchestre karaoke, né tra gli stivali e le cinghie del Pugliese bondage della Fernandez Fierro e nemmeno tra i motorini truccati degli orfani di Piazzolla. Andate piuttosto nei Paesi Bassi dove il Viejo non vedeva in giro ningún petizo e Astor ingaggiava i suoi rimpiazzi. Setacciate i polder strappati all’oceano, frugate nelle depressioni geografiche, rovistate nelle fosse tettoniche.
Guardate il cielo di fustagno sopra Rotterdam, scansate i ciclisti che ne flagellano le strade, indossate la loro immangiabile haute couture, ma procuratevi i dischi del Sexteto Canyengue, la miglior orchestra di tango sopra e sotto il livello del mare.
Stop.

Ma ora che ho più tempo per essere breve, vorrei parlarvi meglio del Sexteto Canyengue. In fin dai conti è stata la terza orchestra della Compañia Tangueros, dopo il Sexteto Tango e i sei anni di Color Tango. E con il Sexteto Canyengue abbiamo fatto spettacoli come “Cuatro Noches” e “Gotán” - che, tanto per dire, chiamavamo il Piazzollazo” - o come “Slums/Bajofondo”, che mescolava le musiche di Piazzolla con quelle di West Side Story. Per parlarvi del Sexteto Canyengue partirò come sempre da lontano, in questo caso da un porto.
Ricordate “La cerveza del pescador de Schiltigheim”, quel capolavoro di nostalgia preventiva di Raúl González-Tuñón? Il poeta si chiede: perché mai beviamo la birra del pescatore di Schiltigheim? Perché amiamo i mulini bianchi di farina e le luci delle finestre alte nella notte, accese dai ladri e dagli uomini in frac? Perché amiamo Carcassonne e Chartres, Chicago e il Quebec, le torri e i porti?
Perché amiamo i porti, io lo so. Nei porti sono nate e cresciute le grandi musiche della nostalgia, il fado, il rebetiko e, sopra ogni altra, il tango.
Nel porto di Buenos Aires, ad esempio, il porto più porteño del mondo, sono sbarcati i bandoneón e le chitarre, l’habanera e il melodramma, almeno venti lingue diverse e i loro dialetti, i suoni, le melodie, e naturalmente i sogni e le emozioni che quei canti si portavano nascosti dentro, come sementi in un bastone animato.
Canti pieni di addii e di assenze gigantesche, internazionali, che si sono fuse tra loro, mirabilmente, nel tango.
Nel porto di Rotterdam, invece, il più grande porto d’Europa che arriva fin dentro le viscere del continente, le musiche di tutto il mondo sono sbarcate già bell’e fatte.
Hanno trovato casa nei dock del Conservatorio Reale, quasi dirimpetto alle navi.
Qui, da più di trenta anni, c’è il dipartimento di tango di cui è stato preside onorario Osvaldo Pugliese. Nella cerimonia d’attribuzione, al ricevere il titolo dalle mani altolocate e bandoneonistiche del fondatore del dipartimento Carel Kraayenhof, Pugliese dice quella frase straordinaria: “Los llaman Paises Bajos, pero yo acá no veo a ningún petizo”. Vi chiamano Paesi Bassi però io qua non vedo nessun piccoletto.
Immaginatevi ora di essere un bandoneonista uruguaiano che vive infelicemente come tutti nel Baden-Württemberg. A metà degli anni ’80 di bandoneonisti professionali ne sono rimasti 200 contati, Argentina compresa. Questo bandoneonista è un buon bandoneonista, ma il lavoro scarseggia, suona dove lo chiamano, in postacci, birrerie, sagre del luppolo: non abita neanche troppo lontano da Schiltigheim. Un giorno squilla il telefono, risponde sua moglie e lo chiama: “E’ Astor Piazzolla”. Il bandoneonista non se la beve, sa che è un altro scherzo di quegli stronzi dei suoi amici e risponde “Digli che finisco di parlare con Gardel e lo richiamo”. Ma stavolta, come avrete già capito, è davvero Piazzolla.
Astor sta cercando un bandoneonista per uno spettacolo off Broadway di cui auspica, o forse teme, una lunga tenuta al botteghino. Così ingaggia l’olandese Carel Kraayenhof, il quale si trova catapultato a suonare al Bank Theater di New York in “Tango Apasionado", con le musiche di Piazzolla, i testi di Borges e le coreografie di Isa Daniele, una coreografa argentina che lavora con Woody Allen.
Il successo è enorme, ogni sera viene la vippanza, la Sontag, Baryšnikov, Al Pacino. Ma la vedova nonché erede dei diritti terrestri di Borges, memore di una vecchia ruggine tra i due, fa chiudere lo spettacolo dopo nemmeno cinquanta repliche. Non importa, Carel torna in Olanda e insieme ad altri piccoletti organizza l’unico concerto in cui i suoi due idoli simultanei suonano insieme.
E’ il 1989, siamo nel prestigioso Teatro Carré di Amsterdam, Astor Piazzolla e Osvaldo Pugliese sono “Finally together”, finalmente assieme, come recita il titolo del disco live prodotto per l’occasione da El Hijo d’Emil.
La serata causa diversi benefici collaterali che non sto qui a elencare. Basti dire che Carel riesce a pensare l’impensabile, perlomeno impensabile nella Buenos Aires di allora: un’orchestra che suoni altrettanto bene Pugliese e Piazzolla, che li tenga ancora insieme, che prolunghi il loro incontro all’infinito. Nasce così il Sexteto Canyengue.
Gli ci vogliono ancora otto dieci anni per la messa a punto, ma sono già in anticipo di almeno quindici su Buenos Aires e l’orchestra Escuela, che è ancora ben al di là di essere concepita. Nei cantieri del porto di Rotterdam, intanto, lo scafo di ogni tango viene smontato e rimontato, sottoposto a manutenzione e calafataggio, ribattuto in ogni suo chiodino. Il Sexteto tempra il suo Pugliese nel vivo delle milonghe e suona Astor nei “Five Piazzolla pieces” per la danza contemporanea di Hans Van Manen. Finché nel 1998, l’incontro con la Compañia Tangueros e con uno spettacolo che non solo tiene insieme Pugliese e Piazzolla, ma li esalta entrambi, vertebra per vertebra. E nessuna manca all’appello.
A Buenos Aires, è triste dirlo, nemmeno sospettano che tale eresia sia possibile. Sentite ad esempio questo dialogo realmente accaduto, e come stavo per vincere una scommessa con due saputelli, cento dollari che avrei poi devoluto alla Fondazione Marco Castellani per la manutenzione e il calafataggio del medesimo.

La famosissima giornalista del Clarín Irene Amuchastegui mi squadra beffarda:
- Olandese? Avete un’orchestra di tango olandese?
Lo chemisier che Angelo Paólo le ha drappeggiato intorno al corpo tubolare rabbrividisce al solo pensiero. Intanto José Votti, violinista di Troilo, si alza come un sol uomo per salutare il pubblico del primo festival di tango di Buenos Aires. E’, manca a dirlo, il 1998.
- Olandese! Ma che schifo - ribadisce la giornalista.
Con il pollice sviluppato dall’autostop mi addita al celebre esperto di tango e mnemotecnico Oscar Del Priore:
- Questi qua hanno un’orchestra di tango olandese...
- Olandese o finlandese? - s'informa il memorioso Oscar
- Olandese, dice - e via con l’autostop.
I piedi calzati di bue dell’Amuchastegui mi danno le spalle. Ecco il tatto con gli stivali.
Scelgo quel momento per dire qualcosa:
- Non è il solo contributo dell’Olanda al tango. La merca si chiama così perché la mettevano nei bottiglini della Merck - bluffo.
Di sicuro non sanno che era tedesca.
Oscar Del Priore scuote la testa come ai tempi di Odol Pregunta:
- La Merck era tedesca - sentenzia.
- L’esterno era tedesco, ma l’interno era olandese - puntualizzo, mentre gli specchi della Confitería Ideal si fanno sempre più scivolosi.
- E come si chiama quest’orchestra di tango olandese? Sexteto Heidi?
- Heidi era svizzera - stavolta lo sistemo io.
- Solo all’esterno - controbatte.
Incasso il colpo come un sol uomo. Poi mi ricordo di Nicola Arigliano:
- Io non discuto, scommetto!
Gli occhi di Del Priore brillano come due zecchini nella saccoccia di un lebbroso.
- E su che cosa vuoi scommettere?
Accidenti alla mia linguaccia.
- Facciamo un blindfold test. Pata ancha, di Pugliese, di Color Tango e del Sexteto Heidi. Cento dollari se mi sapete dire quel è quale e perché.
- Pugliese non c’era quando ha registrato Pata Ancha.
- Questo lo so anch’io, signor Difficiloni.
Irene Amuchastegui accoglie José Votti con un sorriso tartarico.
- Venga, Maestro, mettiamoci qui. Conosce Del Priore, ovviamente.
- Ma come no. Come stai Oscar? Dov’ero io il 24 giugno 1971?
- Facile. Negli studi RCA con Troilo a registrare La Violeta. Primo violino Carlos Piccione.
E con questo posso anche dire addio ai miei cento dollari.
- Irene, Oscar, conoscete il qui presente Marco Castellani? Abbiamo fatto una tournée in Europa tre anni fa. Parigi, che gran città! E la Compañia Tangueros? La migliore del mondo. Adesso hanno un’orchestra olandese. Dovete sentire come suonano. La vertebra mancante tra Pugliese e Piazzolla. Scommetto che se ascoltate Pata Ancha...
- Basta così José - interrompo - Questi due giles li spremo prima io...