Spiegava lo scrittore rosarino, Miguel Jubani, la differenza che esiste tra nostalgia e malinconia, almeno dal punto di vista tanguero.
Può sorprendere il sottolineare questa differenza, giacché spesso queste parole vengono utilizzate come sinonimi.
La malinconia tinge di grigio il presente, ma soprattutto il futuro. Un senso di non aver voglia di vivere. La sensazione di un vuoto esistenziale che ci colloca davanti alla morte.
La nostalgia invece, sebbene sia una forma a volte triste di ricordare momenti vissuti, è anche un modo per valorizzarli e metterli in salvo dall’oblio.
E’ un modo per evitare che il passare de tempo fagociti momenti della nostra vita che dobbiamo preservare. La nostalgia può essere un modo triste, ma vitale, di proteggere la nostra storia personale.
Sono nato in una famiglia di immigrati italiani in Argentina. Tutti i giorni della mia vita, inconsapevole di questo, assorbivo un po’ d'Italia, il costume, la cultura, attraverso il cibo di mia nonna o mia madre, i loro paesani, che una volta al mese ci facevano visita e passavano la giornata parlando un dialetto lontano , che la loro "nostalgia" manteneva vivo, evocando i ricordi del loro passato .
Ricordo da bambino, certi pomeriggi d'inverno, chiusi in cucina con mia nonna che seduta in una sdraio di paglia ,vicina al "Calentador Primus", (Scaldino a Kerosene) raccontava le storie della loro gioventù in Molise.
Con profonda "nostalgia" parlava della crocetta di ferro che divideva il centro storico dove lei abitava, dalla periferia dove viveva mio nonno. La loro vita da ragazzi e la partenza dolorosa verso l’America.
Sono passati gli anni, mi trasferii in Italia. Dopo un po’ di tempo sentii il forte impulso di andare al nostro paesino d'origine.
Girai per le strade, ripensando a loro, bambini, correre e giocare in quei vicoli. Poi, ad un tratto, mi trovai davanti alla croce di ferro. I racconti e le storie dei miei, mi travolsero come una cascata d'immagini.
Riuscii in quel momento a comprendere la loro perenne "nostalgia", vitale e presente in ogni giornata in cui tirare avanti, nella nuova famiglia e nella nuova patria.
Per molti anni invitai mio padre a venire in Italia a trovarmi. Rifiutò sempre l'invito, con dispiacere diceva che non se la sentiva.
In realtà la profonda "malinconia" in cui era immerso lo proteggeva da una emozione che non avrebbe potuto gestire.
Le fantasie dipinte in una vita di racconti eroici e vecchie fotografie, potevano crollare in un secondo, e lui preferì vivere con l'immagine del suo Paese d’origine che le storie tramandategli avevano dipinto davanti ai suoi occhi, da che era un bambino.
Io invece non sento la "malinconia" insinuarsi nella mia vita, bensì una potente "nostalgia", che mi fa ricordare il cielo di Rosario nei pomeriggi d'estate, quando nessuno esce per le strade e si sente come un soave bisbigliare, il respiro delle foglie sugli alberi.
Come le pallonate sui muri, compongono affreschi che stanno lì a raccontare la mia infanzia, con Gabriel, Jorgito, Ariel, Lilo e mio fratello Oscar.
E’ la nostalgia che mi fa ricordare mio padre alla domenica mattina, seduto sulla sedia che era di mio nonno, leggendo il giornale.
Alla radio, musica litoralegna, tipica della nostra zona del Paranà, ma poi, tango e ancora tango con i vinili di Pugliese e Troilo, o la orchestra di Jose basso.
Alla sera, la minestra fumante nel piatto e quel programma alla radio che iniziava sempre a quell’ora, con il tango La mariposa nella versione di Pugliese.
Per me, il tango e l'Argentina sono "nostalgia pura". Sento la mia patria natale come un albero con delle robuste radici, ben salde nella terra.
Questo permette che il mio tronco si erga sicuro nel presente, con la corteccia, che gli anni hanno reso ruvida ma che sa proteggermi, e la chioma che si proietta nel vento, catturando sogni e nuovi progetti.
Le foglie e i fiori sono le esperienze che ho potuto raccogliere e cerco di trasmettere ogni volta che qualcuno mi dona il suo tempo e la sua attenzione.
I frutti e i semi restano nell'anima del tango, che si proietterà nelle generazioni future.
Il Tango Argentino non ha bisogno di nessuno che lo salvi, che si erga suo console o protettore.
Solo necessita d'amore, per essere raccontato e tramandato con una sana "nostalgia", per quello che è.
Testo de La Violeta di Nicolás Olivari
Con el codo en la mesa mugrienta
y la vista clavada en el suelo,
piensa el tano Domingo Polenta
en el drama de su inmigración.
Y en la sucia cantina que canta
la nostalgia del viejo paese
desafina su ronca garganta
ya curtida de vino carlón.
E La Violeta la va, la va, la va;
la va sul campo che lei si sognaba
ch’era suo yinyín que guardándola estaba...
Él también busca su soñado bien
desde aquel día, tan lejano ya,
que con su carga de ilusión saliera
como La Violeta que la va, la va...
Canzoneta de pago lejano
que idealiza la sucia taberna
y que brilla en los ojos del tano
con la perla de algún lagrimón...
La aprendió cuando vino con otros
encerrado en la panza de un buque,
y es con ella, metiendo batuque,
que consuela su desilusión.
Traduzione di Radio Tango Macao
Con il gomito sul tavolo sudicio
e lo sguardo fisso per terra,
pensa il tano (l'italiano) Domingo Polenta
al dramma della sua immigrazione.
E nella sporca cantina che canta
la nostalgia del vecchio paese
stona la gola rauca
già conciata dal vino rancido.
E La Violetta la va, la va, la va;
la va sul campo che lei si sognava
chi era il suo yinyín che guardandola stava...
Anche lui cerca il suo sognato bene
già da quel giorno, tanto lontano,
che con la sua carica di illusione sparì
come la Violetta che la va, la va...
Canzonetta del lontano paese natio
che abbellisce la sporca taverna
e che brilla negli occhi dell'italiano
con la perla di qualche lacrimone...
La apprese quando venne con altri
chiuso nella pancia di una nave,
ed è con quella, facendo chiasso,
che consola la sua disillusione.
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