Borges, che i suoi compatrioti li conosceva bene, diceva che in Argentina ogni conflitto sociale, ogni controversia di carattere generale, si riduce a una questione personale in cui l'unica cosa che conta è vincere senza perdere la faccia. Con l'andare del tempo e con questa mania che ha la realtà di farsi strada a gomitate attraverso le illusioni, anch’io che abito a Milano ho dovuto rassegnarmi a non vincere troppo spesso, diciamo pure mai. Ma per i pesci piccoli ci sono casi in cui la sconfitta è già un guadagno. Prendiamo per esempio l’investigatore privato Jean Fajean, eroe di tutti noi che cerchiamo di perdere senza perdere lo stile. A volte capita anche sotto i cieli dritti di Buenos Aires che il pesce piccolo si mangi il pesce grande.

Il tramonto giocava bene le sue carte. Dalla finestra vedevo già la luna che stava per rotolare su Callao, come nei versi immortali di Horacio Ferrer. Non appena il caldo abbassa la cresta, continuavo a ripetermi, il lavoro la rialzerà. Almeno così speravo. Il calendario murale delle Alpargatas mi dava ragione, la bonaccia estiva era finita o quasi. Così non mi sorpresi quando il telefono squillò da protagonista. Disabituato com’era ad essere sollevato, il ricevitore mi cadde dalle mani. A volte l’emozione gioca brutti scherzi. La voce che usciva dai forellini era impettita come un ufficialetto di Leone Tolstuá.
- Mi ha sentito o no? Ho detto che sono Kevin Fiasconaro, l’avvocato.
- Kevin Fiasconaro, l’avvocato. Perché, ce ne sono molti di Kevin Fiasconaro? - obiettai.
- Non mi faccia subito il Marlowe che non ha il fisico. Senta segugio, vedo cha ha la lampadina ancora accesa. Sono qui sotto. Ho un caso da affidarle. Posso salire?
- Come no. Ottavo piano. Ho il dovere di avvertirla, però, che il tragitto sarà noioso, l’ascensore non ha lo specchio.
Avevo guadagnato qualche minuto per preparare la messinscena. Kevin Fiasconaro, il Pardo Fiasconaro, l’avvocato di Cosquín, lo spietato agente degli idoli tellurici, il procuratore dei Chalcha, di Guaraní, di Mercedes stava per attraversare la mia porta smerigliata. Da un cassetto tirai fuori il kit della Rosamonte, termo e zuccotto.
- Se non è il patriottismo che mi acceca - disse entrando l’avvocato - la bevanda che in questo momento la gauchizza è nazionale. Lei è nativo, Fajean? Dal nome non si direbbe.
Mi limitai a sorridere come se la domanda l’avesse posta ad Atahualpa Yupanqui. Fiasconaro era uguale alle fotografie di Folk Magazine: un capellone calvo con le spalle spioventi e la pancetta sportiva, il classico hippie attenuato da un blazer blu e da un gilet ritagliato da una stuoia. Due occhi stretti come le fessure di una slot- machine mi fissavano da dietro gli occhialini a bicicletta.
- Deve trovarmela Fajean. Sono trent’anni che non concludo un contratto come questo e quella matta mi sparisce proprio adesso.
Misi su la faccia attonita, da figlio del bifolco alla lezione di latino.
- Ma sì. Vidala Pacheco - continuò con enfasi non necessaria e toccandosi distrattamente il pacco. - E’ stato il Maestro a chiamarla così. Tu ti chiamerai Vidala, le ha detto. Vidala, la migliore, la massima cantante di protesta che l’America Latina abbia mai prodotto sforna un nuovo disco dopo trenta anni, io le metto in piedi una tournée mostruosa dalla Terra del Fuoco alle Cateratte prendendo al balzo la simultanea riscossa della sinistra in tutto il continente, le chiedo concentrazione, le spiego cosa può significare il suo ritorno per il pubblico latinoamericano e questa mi scompare a quindici giorni dal primo recital. Ci puoi credere?
- Credo a cose anche peggiori - concessi.
Mi dimostrai solidale al risentimento e alle lamentele, sebbene l’etichetta di cantante di protesta mi sembrasse una contraddizione nei termini e la riscossa della sinistra una barzelletta. Ma questo era il meno:
- Magari ha avuto fifa... - azzardai
- Forse. Un po’ d’insicurezza è comprensibile, è assente da molti anni. Il fatto certo è che si è eclissata. Nell’appartamento non c’è, non chiama, non risponde, è sparita, si è fatta come di fumo.
- Questo è impossibile - sentenziai scuotendo la testa come un tucano.
Avevo le mie buone ragioni per ritenere perlomeno improbabile la trasformazione in fumo di una creatura così compatta e voluminosa come la balena Vidala.
I dispiaceri dell’emarginazione, ma soprattutto i piaceri per i dolciumi e gli insaccati di Arroyo Seco, il paesino dove si era rifugiata durante i decenni oscuri, avevano apportato ampie modifiche alla sua silhouette.
Soprannominata Bauletto Cosmico da Victor Hugo Morales, o semplicemente Il Bauletto, in omaggio a uno dei suoi successi negli anni del poncho funzionale e del grido latinoamericano, Vidala era sopravvissuta nello show business grazie ai jingle delle patatine fritte o delle Lasagne Paf: registrazioni, dicevano i suoi perversi detrattori, che le venivano pagate in merce. E adesso era sparita senza lasciar briciole dietro di sé.
- Cosa mi dice delle ultime settimane, Kevin?
- Era depressa, insicura. Un giorno le ho consigliato di farsi un viaggio per ricaricare le batterie, ritrovare la sua identità, camminare la terra americana, abbeverarsi nel paesaggio - si entusiasmò Fiasconaro - Le volevo anche prestare i soldi.
- Li ha presi?
- No, è molto orgogliosa. Così per sdrammatizzare un po’ le ho offerto un forfait per ogni chilo che fosse dimagrita, ma è stato peggio - confessò l’avvocato.
- Me l’immagino. Avrebbe dovuto offrirle il contrario.
- Come sarebbe a dire?
Ammiccai un gesto impertinente, tanto per sottolineare l’ovvietà della battuta, ma niente da fare, Kevin Fiasconaro, l’avvocato, non ci arrivava. Così mi diedi un tono e gli dissi che in fondo sì, la Pacheco mi era sempre piaciuta, accettai l’incarico di localizzarla prima dello scadere del contratto, gli proposi le mie accessibilissime tariffe e mi disposi a seguire le profonde orme della cantante, ascoltando una vecchia cassetta contestataria.
I vicini mi confermarono la partenza silenziosa per destinazione ignota. La malvagia portinaia, invece, dovetti tirarla per la lingua:
- Ha lasciato qualcosa? - le domandai
- Il cibo per il gatto. L’unica cosa che non mangiava.
Nella posta accumulata sotto la porta non trovai niente di significativo. C’erano però alcuni opuscoli pubblicitari di un’agenzia viaggi che conoscevo. Mi recai sul posto, nel barrio di Belgrano. Mi tolsi le lenti scure ed entrai con lo sguardo vellutato di George Clooney.
- Vorrei andare a Saint Tropez - confidai alla ragazza seduta dietro la scrivania.
- E chi te l’impedisce? - mi rispose, senza alzare gli occhi dal computer. - Qua ognuno fa come gli pare. Vuoi fermarti a Eboli? Prego, fermati a Eboli. Vuoi andare a Canossa? Nessuno ti mette i bastoni fra le ruote. Vai pure a Canossa. Vuoi attraversare il Rubicone? Attraversalo.
Ero incappato in una lettrice di Venedikt Erofeev.
- Che mi dici di questo Tour Pachamama che include il Sentiero degli Inca e il Machu Picchu? La mia amica Vidala Pacheco l’ha comprato qui, mi pare. - Vidala Pacheco? - l’impiegata inarcò le sopracciglia - Il nome non mi dice niente.
In effetti il trucco era infantile. Vidala Pacheco non era altro che lo pseudonimo di una Sandra o una Teresa Gargiulo o Pelagalli o di qualche altro nome tipo questi, più adatti a un concorso della Rai che a una rivelazione di Cosquín. Mentre uscivo, notai in vetrina una promozione speciale, il pacchetto Ugolino, che prevedeva viaggio in Brasile, soggiorno termale, dieta personalizzata, massaggi con i licheni, tisane, eccetera eccetera, tutto compreso.
- E questo? - domandai.
- Riservato alle signore. Esclusivo, costoso, dura tre settimane - mi spiegò di malavoglia - Ci vanno le famose, ma prendono anche le normali. Lunedì rientra una comitiva. Sembrano delle altre.
E mi fece vedere alcune foto minacciose con un Prima e con un Dopo.
- Glielo regalerò a mia moglie - le dissi. George Clooney non è più disponibile, mia cara.
Lunedì, mentre un’irriconoscibile Vidala scendeva dall’aereo, il Pardo Fiasconaro la stava aspettando con un canestro di rose e uno di cioccolatini. Nessuno dei due funzionò.
- Ho dovuto pagarle quaranta chili, Fajean - mi disse Fiasconaro quella stessa sera per telefono. Dalla voce sembrava affranto.
- Tanto è dimagrita?
- Quaranta chili di bagaglio supplementare. Tutti i vestiti nuovi che si è comprata.
- Ah.
- E ha rotto il contratto.
- Ah.
- Dice che il folk è morto, che è tornato di moda il tango, che ha delle offerte migliori, che non si dà più via in regalo. - Chiaro.
- Ha cambiato il nome in Malena. E’ il ministro Lombardoni che l’ha chiamata così. Tu ti chiamerai Malena, le ha detto.
- Bel nome...
- La situazione è cambiata, Fajean.
Lo mandai a quel paese e appesi il ricevitore prima che attaccasse l’arringa a discarico e gli alibi di sempre. Tanto lo so quando non mi pagano. Rimasi ancora qualche minuto alla finestra. Il poncho nero della notte si era steso sul grande palcoscenico dove gli uomini cantano e danzano e si calpestano, come nelle zambe immortali del Cuchi Leguizamón. Quante storie là sotto, quante costole che si intrecciavano nel buio. La potente luna ci dava dentro sul lavorio umano. Il vento ammassava nuvole bianche, le configurava in soldati e castelli e magnifici spettacoli. Riavviai la cassetta dei Chalcha e mi diressi al frigorifero per farmi una birra e un panino con il seitan. Niente lasagne Paf, stasera: mi riportavano dei pessimi ricordi.

AGNORALGIA
Canto questa zamba alla mia terra distante
caldo paesino del nostro interno
terra rovente che ispira il mio amore
pietrosa, arida, dal sole calcinante
e ricordando quella terra bruciante
risuona il mio grido: ma che calore!

E come ti ricordo bene, mio bel paesello
la tua aria umida e densa di giorno
notte calde di fantasie,
popolate di magia, d’incanto infinito
e del canto del tuo fresco torrentello
salvo nei dieci mesi di siccità.

Sempre fu calmo il mio paese adorato
tranne quella volta che è passato l’uragano
vecchi paraggi, lontani che siete
terre mie amate, mie dolci casette
ho paura che siate cambiate
dopo l’ultima eruzione del vulcano.

Terra che fino a ieri proteggevi la mia infanzia
sempre ti porto nel cuore
sebbene quel tuo dolce torrentello
sia oggi un infuocato torrente di lava
che per fortuna a volte si spegne
quando arrivano le inondazioni.

I lupi affamati ululando ci atterriscono
quando mordono le zanzare voraci
e non si può dormire dagli strilli
di migliaia di avvoltoi che oscurano il cielo
capita sempre qualche terremoto
e di sera piovono meteoriti.

Ah, se potessi tornare al paese
al paese che non ho più rivisto.
Se potessi tornare al posto
che sempre mi chiama, che sempre mi aspetta
se davvero tornare potessi
non lo farei nemmeno da ubriaco.