Diceva il grande maestro Enrique Cadicamo: "Bisogna consigliare i giovani che il tango non ha bisogno in nessun modo di un cambio di vestiti, è una cosa che è rimasta cosi e deve essere eseguita tale e quale è." Oggi che è passata parecchia acqua sotto il ponte della mia vita posso capire questa frase e pensare che è proprio cosi.
Ricordo con quanta fatica ascoltavo le parole dei più anziani, i suoi concetti retrogradi e ormai senza senso, non capivano la modernità, le cose nuove che accadevano.
Da ragazzo, avevo costruito con le mie mani due casse enormi da un metro e mezzo l'una con degli altoparlanti di una potenza assurda per una stanza. Una consolle con due giradischi professionali. Arrivavano i miei amici e ci chiudevamo nella mia stanza a sentire rock a manetta tutto il pomeriggio.
Tremavano i vetri ma non ci accorgevamo di nulla. Dopo un po di ore di "terremoto-terapia" aprivo la porta per uscire e c'era mio padre tutto intimorito con un disco sotto il braccio che mi diceva: quando hai finito posso ascoltare un disco ?. Dopo, fuori della stanza sentivo "i suoi dischi", una strana nebbia fatta di lagna, muffa e depressione mi assaliva e non vedevo l'ora di scappare da li. La muffa era la voce di Beniamino Gigli, l'orchestra di Pugliese o la chitarra di Jose Larralde.
Quando lo interpellavo sul rock diceva : "Non mi piace per che non lo capisco".
Sono passati tanti anni da questi episodi e posso comprendere cosa mi diceva.
Come suol dire il maestro Gerardo Quilici, "il tango e una musica di netta radice popolare che s'impose per forza propria".
Gran parte della musica che oggi ascoltiamo e imposta dalle imprese discografiche e non dalla gente.
Il tango nacque dalla esperienza di vita, la mescolanza di culture e costumi delle persone di quell'epoca.
I grandi poeti del tango come Enrique Cadicamo, raccontavano il paesaggio e la vita dei ragazzi del tempo, ecco perché mio padre amava il tango. Si riconosceva profondamente in lui, vedeva la sua vita , del suo paese, i suoi amici.
Niente aveva a che vedere, col ciuffo alla brillantina, e le parole incomprensibili dei cugini del nord America, testi di una povertà assoluta in confronto ai trattati di filosofia popolare che erano le poesie dei nostri tangos. Poi iniziai a studiare, a scrivere e suonare. Ebbi un gran maestro che mi strappò dall'oscurità della mia ignoranza e finalmente capii chi era Beniamino Gigli, cioè" la nebbia lagnosa".
Cercando il significato della parola "Classico": Dal latino, Classicus. L'eccellenza, cultura di classe, elitaria. Ma è anche un concetto d'identità culturale, la radice di una cultura.
Il tango Argentino è un classico che va studiato capito e accettato per quello che è, e a tutti quelli che come me pensavano di poter cambiarlo, modernizzarlo, contaminarlo dico: Allora modernizziamo Venezia? Mettiamo i vetri polarizzati nelle finestre del Colosseo? Ci mettiamo ad arrangiare Mozart?
Beh, in Argentina la parola "contaminare" significa "inquinare" ed è questo che la maggior parte delle volte accade quando qualcuno pensa di aver la missione di salvare il tango.
Il tango non ha bisogno di essere salvato da noi. Come i discorsi cosi attuali sull'ambiente, la natura non ha bisogno di essere salvata dall'uomo. ha bisogno di essere rispettata e scoperta, allora è lei che ci salverà. Come il tango, ha bisogno di essere scoperto, non cambiato Celedonio Flores, Gonzales Castillo, Homero Manzi, Enrique Discepolo, lo stesso Cadicamo , descrivevano un linguaggio di un'epoca di una Argentina che non c'è più, un periodo storico e sociale presso che irripetibile, che produsse un genere culturale chiamato "Tango Argentino".
La famosa frase : "Il tango ti sa aspettare" con me lo seppe fare, ed io che lo volevo cambiare capi che solo dovevo scoprirlo.
(Alla memoria di tutti quelli che ci hanno lasciato questa enorme eredità che non va sperperata, ma protetta e ben amministrata).

Testo di Enrique Cadicamo

Con este tango no se pierde el compás
porque es porteño, milonguero y varón.
Mi tango es éste que se llama arrabal
y lo demás es puro cuento...
Desde pebete lo escuchamos roncar
por los deslindes de Barracas al Sur
y en los bailongos lo hemos visto bailar
al Cachafaz, que era una luz...
Tango mío... Tango reo...
del T.V.O., del Palais y Armenoville.
Tu perfume tan lejano de recuerdos
se hace llanto en la armonía del violín.
Tango mío... Tango reo...
¡Qué será de aquel amor que ya perdí!...
Con este tango retobado y pintón
de gran canyengue y malevo compás,
está latiendo con porteña emoción
el corazón de Buenos Aires.
Por más que venga otro estilo a tallar,
por más que quieran disfrazarlo, yo sé
que el tango nuestro nunca debe cambiar,
así nació y así ha de ser.

Traduzione di Victor Hugo Del Grande

Con questo tango non si va fuori tempo,
perché è portegno, milonguero e virile.
Il mio tango è questo e si chiama "Arrabal"
ed il resto sono tutte chiacchiere.
Da ragazzini lo abbiamo sentito ronfare
per le strade del sud di Barracas
e nelle milongas l'abbiamo visto ballare
al "Cachafaz" che era un lampo.
Tango mio.... tango spregiudicato
del T.V.O., del Palais e del Armenonville
il tuo profumo lontano di ricordi
si fa pianto nell'armonia del violino.
Tango mio.... tango spregiudicato....
cosa sarà di quel amore che ho perso..
Con questo tango , ribelle e di gran portamento,
di spirito canyengue e coraggioso ritmo
batte con portegna emozione il cuore di Buenos Aires,
e se venisse un'altro musica a voler comandare,
anche se volessero travestirlo
io so che il nostro tango non deve cambiare mai, cosi e nato e cosi sarà.

diritti d'autore Victor Hugo Del Grande
utilizzo del file musicale previa autorizzazione dell'autore