Lavallen è stato similmente a Emilio Balcarce, un personaggio di rilievo ma sempre un po' defilato. A differenza di Emilio lui non è mai riuscito a scrivere un opus magnum come La Bordona, né ad essere prolifico come arrangiatore e autore, ma forse è stato uno strumentista più eclatante. Lo possiamo annoverare tra i principali rappresentanti di una escuela bandoneonistica in cui la provincia fa differenza. Le sue origini e i suoi esordi di adolescente, sono infatti di Rosario, come quelli di Julio Ahumada, Antonio Rios, Nestor Marconi Félix Lipesker, Fernando Tell y Domingo Mattío. Per citarne alcuni. Come Balcarce e contemporaneamente a lui, Victor ha condiviso un decennio tra le fila dell’orchestra di Pugliese, ma anche la fuoriuscita che ha fatto nascere il Sexteto Tango. Lavallen, che era un grande ammiratore di Pugliese, non si sarebbe mai sognato di essere scelto in un’audizione a cui aveva partecipato appena ventiduenne, per entrare in quella magica orchestra. Insieme a lui si erano presentati alcuni fuoriclasse quali ad esempio Julian Plaza. Ma il Troesma preferiva ingaggiare dei giovani poco conosciuti e lui, tra i candidati che si erano fatti avanti rispondeva meglio degli altri a queste caratteristiche, oltre al fatto che Mario De Marco lo aveva raccomandato perché ne apprezzava le qualità dimostrate con Francini, con Joaquin de Reyes con Angel Dominguez, con Calò dove nel ’56 ricoprì il ruolo di primo bandoneon dopo che l’anno precedente era stato secondo del citato Julian Plaza. Proprio di Julian Plaza è l’unico tema strumentale che l’orchestra ha registrato in quel 1956, un tango trionfale di impostazione in linea con l’epoca e intitolato Sensiblero dove si ascolta tra gli altri il divino Simon Bajour come primo violino. Lavallen qui è protagonista di due episodi solistici, il primo fraseggiato e il secondo in una variazione corrida che si precipita verso il finale, eseguita con rilassata agilità in un perfetto staccato che ci racconta la perizia tecnica del prossimo membro acquisito nella fila dei bandoneones pugliesiani. Ma durante il colloquio di assunzione era emerso un inghippo: era richiesto un obbligo extra alla semplice funzione di bandoneonista. Lavallen si trovò a dover rassicurare il suo futuro datore di lavoro, dicendo una mezza bugia: non era affatto il competente arrangiatore che aveva confermato di essere e per entrare nella cooperativa di Osvaldo vigeva l’obbligo di una partecipazione attiva anche sul versante delle composizioni nuove e degli arrangiamenti. Poco dopo arrivò il momento di provare con i fatti le sue capacità di orchestratore e lui scelse un tema proveniente dal portafoglio autoriale di Agustin Bardi, uno degli autori preferiti da Pugliese. A proposito ricordo una circostanza che la dice lunga sulla stima che la penna verde di Bardi aveva tra i protagonisti più illuministi dell’epoca d’oro. Come Troilo con Tinta verde, anche la prima incisione dell’orchestra di Pugliese pubblicata nel ’43, riguardava un tango firmato da Agustin Bardi ed intitolato El rodeo, tema che l’autore aveva presentato intorno al 1916 al Cine Paris di Avellaneda con il trio in cui figurava il bandononista Graciano de Leone, uno dei pochi musicisti di tango che Borges ha reputato degni di essere citati. Il tema d’esordio all’arrangiamento per Lavallen si intitolava invece Gallo ciego. Sebbene confezionato con intuizioni geniali e senz’altro perfezionato dai colleghi, già esperti a trasformare la notazione indicata sul pentagramma nella forza plastica che, tra scintille e cortocircuiti, caratterizzava le sfumature del nobile linguaggio con cui si esprimeva l’orchestra di Pugliese, il brano ebbe un’accoglienza molto tiepida e dopo pochissime esecuzioni, finì quasi dimenticato nella lunga lista dei brani in repertorio. Ma il tempo ha dato ragione al novello arrangiatore di quell’epoca e quel suo esordio un po' maltrattato è diventato tra i più amati, facendo onore alle orecchie dei groopies del tango, pronti a riconoscerlo, sospirando ed applaudendolo a tutte le latitudini. Se ne lamentava il direttore di Color Tango Roberto Alvarez che un giorno mi disse con più di una punta d’amarezza: “ai voglia di scrivere nuova musica e di preparare arrangiamenti più sofisticati, il pubblico di tutto il mondo vuole ascoltare e se mai ballare Gallo ciego”. All’epoca del suo insuccesso fu registrato un paio di settimane prima che la mattina del 10 agosto del 1959, venti componenti della comitiva guidata da Osvaldo Pugliese salirono sul volo diretto verso l’Unione Sovietica e la China. Quasi una missione diplomatica estesa in una turnée che riporterà tutti ad Ezeiza il 30 dicembre, dopo aver collezionato 126 recital a dire di Pugliese stesso, trionfali. In merito a questo tango, volevo richiamare la vostra attenzione su una modalità compositiva che Bardi segue in diverse occasioni. La costruzione del tema principale si fissa sul meccanismo elementare del riff, vale a dire su una cellula melodica ripetuta come in un loop dove magari è cambiata solo una nota per seguire la progressione armonica che sorregge la melodia. Nel Gallo ciego dell’orchestra di Pugliese una delle trasformazioni decise da Lavallen, inserisce una introduzione di 5 battute che riecheggia il riff del tema principale secondo la prassi di iniziare in un’atmosfera di suspence che stupisce l’ascoltatore, attraendone l’attenzione e al tempo stesso ponendolo di fronte all’interrogativo: cosa succederà? Per quel che riguarda la struttura non c’è solo questa aggiunta iniziale, bensì anche deformazioni di due delle sue parti o sezioni: per esempio la sezione A che in origine ha 12 battute, qui ne conterà 13; la sezione B da 16 battute passa a 17. Altri interventi coinvolgono decisamente la melodia che in alcune frasi è completamente ricostruita. Il ritmo originale è stravolto e sottoposto a rallentamenti, rubati, rarefazioni, omoritmi. L’orchestrazione permuta con singolare sensibilità i gruppi strumentali in tutte le fasi del brano con parti solistiche bellissime per il primo violino e il primo bandoneon. Se la parte A con il riff è molto ritmica e in una tonalità nel modo minore di Re, quindi più drammatica, le altre parti modulano nel modo maggiore: prima, nella sezione B, andando al relativo di Re minore, cioè Fa maggiore e risultando più giocosamente solare; quindi restando in Fa nella parte C, con un inizio solenne come un inno. Visto che abbiamo introdotto un termine dal lessico musicale, cioè riff, è necessario specificare che questo concerne uno dei modi possibili di costruire una melodia secondo un concetto legato alla ripetizione che è una variante dell’imitazione. L’effetto del riff è quello di accentuare la natura ritmica di una melodia, riportando simbolicamente in primo piano l’ingrediente centrale di tutta la musica afroderivata tra cui il tango. In genere, per contrasto, se un morivo è costruito con la tecnica del riff lo sviluppo dell’estribillo e del trio, cioè della seconda e terza parte sempre presente nei tangos almeno fino al 1920, funziona nell’altra modalità tipica del tango e della musica popolare: la domanda e la risposta che è presente anche nella parte B e C di Gallo ciego. Questa seconda opzione assolve al principio di creare una tensione attraverso la domanda e ripristinare la quiete con la risposta. Uscendo dal tunnel tecnicistico ma necessario affinchè le analisi che vengono approfondite in questi appuntamento siano sorrette da alcune conoscenze lessicali di base, ritorniamo a Lavallen che a quanto mi risulta discografia alla mano, non sembra abbia composto qualche tema che l’orchestra di Pugliese ha registrato, e tra gli arrangiamenti strumentali conosciuti oltre a Gallo ciego e Bandoneon arrabalero, quello che secondo il mio parere è il più significativo, riguarda un altro tema di Bardi intitolato Lorenzo. La parte editoriale ci informa che il titolo nasconde la dedica a Juan Lorenzo Labissier, bandoneonista con cui Bardi suonava nel trio Garrote che nel 1908 si esibiva al Cafè Griego affacciato sull’esquina Suarez y Necochea e più tardi nel mitico Cafè El Estribo che ha ispirato il burrascoso tango omonimo al pioniere Vicente Greco che lì guidava il quintetto che oltre a Bardi e Labissier, vedeva Francisco Canaro e il flautista Vicente Pecci. Si tratta di un grande classico che Pugliese ha registrato nel 1965 direi in una versione definitiva, ma che figurava già nella discografia di Fresedo, D’Arienzo, e Canaro che a Labissier ha dedicato il tango El chamuyo, di una certa popolarità. Anche qui come in Gallo ciego la natura ritmica del tango è sottolineata da una melodia che scaturisce da un riff semplicissimo, su cui si appoggia una seconda melodia lirica che è presente sulla partitura editoriale dell’autore, cioè Agustin Bardi. Non si tratta di un’armonia, come si diceva nell’ambiente del tango per le linee in contrappunto che a volte gli autori inserivano nella parte per pianoforte. Si tratta invece di una melodia cantabile espressamente assegnata al flauto e non al bandoneon, nonostante il tango sia dedicato come abbiamo sottolineato in precedenza a un bandoneonista. Questa modalità è uno strumento che il tango ha usato costantemente per arricchire il proprio tessuto di colori, di linee, di armonie, qualche volta per mano dell’autore, il più delle volte per quella dell’arrangiatore. Stringendo all’osso, e riferendomi a questo genere musicale con una indicazione di massima, si può concludere che due melodie possono essere sovrapposte e, quando accade, assegnate a fraseggi diversi, dove uno sarà staccato quindi ritmico e l’altro legato quindi lirico. Se ritornando alle incisioni di Lorenzo torniamo a quella di Fresedo nel 1927, scopriamo che la melodia e tutti i suoi elementi vengono rispettati, poiché all’epoca e i gradi di libertà del fraseggio, delle manipolazioni, delle aggiunte e delle sottrazioni, erano veramente limitati. Nella versione di Pugliese del 1965, Lavallen è autorizzatissimo ad impostare una metamorfosi che, riprendo il concetto balcarciano di “desarrollo”, utilizza tutte le strategie che il linguaggio identitario dell’orchestra ha fatto sue. Questo è inerente anche alla struttura originaria che viene sottoposta a una specie di cataclisma. L’interpretazione che scaturisce dal maiuscolo desarrollo di questa orchestrazione è così convincente da meritare un posto tra i capolavori che Pugliese ha registrato stagione precedente alla diaspora dl 1968. Sempre la materia dell’introduzione crea l’impressione di suspence accennata in precedenza per Gallo ciego, questa volta divisa in due parti di quattro battute. Nella prima utilizzando un bordoneo del pianoforte insieme al contrabbasso, con il bandoneon che golpea lo strumento senza alcun accenno tematico mentre gli archi ricamano un fondale d’attesa; la seconda con il bandoneon che accenna la parafrasi di quello che sarà il tema della parte A, subito dopo esposto la prima volta dal pianoforte e ripreso pienamente da tutta l’orchestra nella seconda riproposizione. Una poesia che sembra essersi generata spontaneamente nella pienezza del prisma dove l’ambivalenza ondeggiante del ritmo culla apparire di una visione che si scompone, evapora in una nebulosa di luce con variopinti aloni di colore, si smarrisce, si sospetta nei panni di un eco, si ripresenta finalmente ardente con formidabile forza e inesorabile sensibilità.